C’è la grande storia da raccontare di un pezzo grosso dell’attuale Tenaris che mandò il futuro Domingo a fare a metà, diciassettenne, col lavoro da apprendista alla Magrini. Poi avrebbe fatto le fortune dei nerazzurri metropolitani, l’Inter, ma è tutt’altra parentesi. E c’è una linea non proprio sottile che lega il vivaio dell’Atalanta, come la Cremonese pressoché gemellata degli anni settanta che avrebbe prodotto un fenomeno del pari del mundialista Antonio Cabrini, con un personaggio e soprattutto una persona di spessore come Giuseppe Brolis, gloria della Verdello sportiva, il fondatore vero del settore giovanile nerazzurro “quando si giocava al campo militare di via Baioni” dopo i primi anni rudimentali con Papà Ciatto nel secondo dopoguerra e Franchino Galimberti centravanti della De Martino, padre del famoso Claudio “Bocia”. “Per spiegarvelo, vi leggo questo ritaglio di un’intervista di anni fa al presidente Antonio Percassi. ‘Sono diventato quello che sono anche grazie a questa scuola di vita. Il dottor Brolis ci schierò a centrocampo al Campo Utili facendoci un discorso che non dimenticherò mai e che a ripensarci mi viene la pelle d’oca’“.
La premessa del responsabile della cantera più celebrata forse d’Europa, Roberto Samaden, è la cornice, all’intersezione tra ragione, sentimenti e ricordi, della presentazione de “I ragazzi del dottor Brolis”, Equa Edizioni di Cesare Ferrari, all’Accademia Mino Favini, un santuario dedicato al Mago di Meda, il penultimo a inserirsi nel filone del calcio come educazione alla vita. “Il nostro compito è essere un riferimento per i ragazzi e le famiglie, che sanno che questo è un posto dove ci si prende cura di loro, nelle scia di questi grandi personaggi che magari incutevano soggezione ma insegnavano a vivere davvero – spiega Samaden -. Giancarlo Finardi (assente per il lutto per la sorella Giusy, ex sindaco di Castel Rozzone, NdR) è stato il promotore di questo evento, l’anima di questa presentazione. Nel dna dell’Atalanta ci sono progetti educativi come questo: non ho avuto la fortuna di conoscere Giuseppe Brolis, ma il suo filo conduttore è passato di mano a Mino Favini che invece ho avuto l’onore di avere come amico e collega. Via i telefonini: all’inizio della prossima stagione creeremo una biblioteca sportiva coi ragazzi del convitto”.
Finardi, mezzala o sottopunta mancina dalla sassata tremenda anche da fermo, con 54 palloni nel sacco è tuttora il recordman della profilicità in grigiorosso. Tempi in cui il presidentissimo Domenico Luzzara aveva il Dottore, dirigente della Dalmine, come trait-d’union con Bergamo. Di lì, nell’interscambio necessario, quasi una regola, passò anche Cesare Prandelli, futuro ct del Club Italia e finito alla Juve, ma con viaggio di andata e ritorno, proprio come il Bell’Antonio iridato a Spagna ’82. Il volume è a cura della figlia Maria Teresa e di Marco Carobbio, “uno storico che ha raccolto 58 interviste dei ragazzi, perché i protagonisti sono loro. Non è una biografica del dottor Brolis”, specifica la co-autrice, studiosa e storica del Medioevo, presente con la sorella Livia, zia Marta che è la sorella di Peppino e il figlio Francesco Aceti. “Abbiamo voluto mettere in risalto, al netto della copertina dedicata al più grande di tutti, Gaetano Scirea, i ragazzi che hanno avuto carriere meno roboanti, perché incarnano al meglio con le loro storie di vita vissuta lo spirito di mio padre. Le prime scoperte sono state Pierluigi Pizzaballa e Angelo Domenghini, le ultime Beppe Signori e Pippo Inzaghi. Stiamo parlando di quarant’anni di storia del calcio nazionale, non solo bergamasco”.
Presenti, tra gli altri, anche la bandiera atalantina Gianpaolo Bellini, gli ex portieri Maurizio Scarpellini e Franco Rottoli, ex marcatori arcigni come Pietro Noris e Daniele Filisetti, Domenico Moro. Tutti ragazzi del Dottore, tutti cresciuti o diventati grandi secondo il suo esempio. Come sottolinea il direttore dell’oncoematologia del Papa Giovanni, Alessandro Rambaldi, autore della prefazione: “Un libro fatto con le parole dei giocatori famosi o meno, ma che hanno interpretato al meglio la palestra di vita del dottor Brolis. Coi giocatori scoperti ci si potrebbe fare una Nazionale (‘Undici azzurri in totale’, precisa orgogliosa Maria Teresa). Bisognerebbe tornare a quel modello per rinvigorire quella di adesso”.
Brolis, verdellse illustre. Come Nado Bonaldi, decano dell’Associazione Italiana Allenatori di Calcio di Bergamo: “Era doveroso lasciare quessta testimonianza di Peppino, che era avanti coi tempi già decenni fa. La sua pagella nei miei confronti era che sarei stato meglio nel mestiere di allenatore, ‘perché come giocatùr t’a sét mìa tat bù’. Ho collaborato con lui per nove anni. Il mio vero genitore calcistico: i primi e più fedeli osservatori furrono Nazareno Fioretti e il ragionier Marchesi, io all’inizio guidavo la macchina. Capii da loro cosa significasse avere l’occhione. Alla base del lavoro di scouting c’era la crescita del giovane calciatore, compreso l’aspetto educativo. Il lascito di Brolis è questo”. Ancora, sulla gamma cromatica dal nerazzurro al grigiorosso: “C’era una strettissima collaborazione con la Cremonese, ma il lato lungo del triangolo era la Juventus. Il dottor Brolis creava un percorso di carriera sui singoli profili: tanti giocatori hanno toccato tutte le stazioni, vedi Antonio Cabrini. Da una parte all’altra, tra B e C, sono andati Finardi e Cristino Chigioni, i Cesare Prandelli e i Luciano Bodini”.
La conferma arriva da ‘Chigio’, attaccante osiense del ’53. “Brolis si spostò alla Cremonese senza lasciare l’Atalanta, dove approdai nel 1967. Il novanta per cento eravamo bergamaschi, c’era qualche bresciano, cremasco e milanese, al massimo di Trezzo. Ricordo Ferradini che andò al Napoli per cento milioni, fu il primo a venire da fuori. Ci facevamo decine di tornei a inviti, a casa durante una stagione stavamo a casa forse due giorni di fila al massimo. Inter, Milan, in misura minore Torino e noi eravamo presenze fisse. La Juve, per dire, non c’era mai, per dirvi dell’importanza del settore giovanile anche allora”.
E c’è anche l’ala tornante, “avanzata a seconda punta con l’età”, Mario Mutti, del ’51. “Uscii dalla generazione degli Allievi del ’68 vincendo il Viareggio nel ’69 in Primavera con Silvano Moro in panchina. Giuseppe Brolis era un papà di personalità notevole. Calava il silenzio negli spogliatoi quando entrava lui: non ci esaltava per le vittorie né si sarebbe mai permesso di farci le ramanzine per una sconfitta. Casomai il bastone lo usava Fioretti… All’allenamento all’indomani della vittoria del Viareggio, al Campo Utili, ci ringraziò dandoci del lei a tutti, mi chiamava ‘signor Mutti’. Noi eravamo abituati a trattamenti più colloquiali negli oratori. Lui controllava le scarpe e la borsa, come trattavamo la maglia. Ricordo Lionello Maianti, un difensore che non andava per il sottile, purtroppo scomparso due anni fa, che la lanciò: Brolis lo rimproverò raccomandandogli di trattarla bene. Il dottore ci ha lasciato in eredità l’amicizia cementata tra noi che dura tuttora: ho riformato il gruppo del Torneo di Viareggio all’insegna dell’affetto e del rispetto”.
Dell’aneddotica si occupa Gianfranco Platto. “Vengo da un paesino di temila abitanti, Castelcovati, Donina, Adelio Moro e io siamo stati i primi tre ad andare a Cremona dall’Atalanta. A 13 anni Brolis con un provino mi portò a Bergamo. Mi misero in collegio per farmi studiare, c’era Gian Pietro Marchetti che mi tranquillizzò. Scappai con una scusa e Brolis parlò con mia madre. Pur di non stare in collegio mi facevo il viaggio tra bicicletta e corriera. Mai avuta soggezione di lui, mi ha aiutato e capito. Sei anni di Atalanta e poi un grave infortunio al ‘Viareggio’, ricordo Kincses, Ilario Castagner e Silvano Moro come tecnici e li ringrazio per aver ripreso a giocare. A Cremona il Dottore, che mi portò in Nazionale C, portò anche l’allenatore, da Moro stesso a Titta Rota. C’erano Grassi, Maianti, Morosini ed Eugenio Perico. Moro mi promise di farmi esordire in serie A col Milan ma mi ruppi al Viareggio. Ora, una rivelazione. Maianti e io per una serata con due ragazze e un rientro tardi fummo multati di due mesi di stipendio, 400 mila lire. Ma nel derby col Piacenza la pena ci fu condonata multa perché vincemmo. Solo che ci era già stata restituita…”.
Claudio Foscarini, uno che a momenti portava in A il Cittadella ed è più noto come cervello della grande Virescit, porta il suo bel carico di memorie. “C’era il rapporto diretto tra Montebelluna e Atalanta. Marino Magrin, Domenico Moro e io veniamo da lì. La disciplina e il comportamento era un tratto in comune tra le due società. Io a questi valori mi sono sempre ispirato anche come allenatore della prime squadre: anche i direttori degli alberghi delle trasferte mi hanno sempre fatto i complimento per l’educazione dei miei giocatori. La disciplina in campo è figlia di quella interiore”.
Dall’appuntamento a Zingonia al giro della provincia e forse d’Italia, il passo non dovrebbe essere così lungo. Maria Teresa Brolis spiega l’intento da cui “I ragazzi del dottor Brolis” prende le mosse. “Ho lo smartphone che contiene tutte le registrazioni delle interviste del libro, voglio farne un progetto a livello nazionale. Vogliamo portarlo nelle aule delle scienze motorie. Lorenzo Gatti è il referente per l’Università Cattolica. Lo sport può essere lo strumento per rendere meno nozionistica la formazione scolastica. Al Castello di Brignano , una settimana dopo Brescia, ci sarà il primo incontro in Bergamasca, il 19 dicembre con Pizzaballa e Adelio Moro. C’è un aneddoto per Adelio: Fioretti, Marchesi e mio padre andarono a casa sua a Romano a convincerlo a non andare alla Juve e fargli preferire l’Atalanta. I forever young presenti sono i veri protagonisti di quest’opera. Mio padre scoprì anche Diego Armando Maradona diciassettenne, ma la Juventus non lo poté prendere”.
Simone Fornoni


lunedì 1 Dicembre 2025





