di Simone Fornoni
“L’aspetto emotivo ha pesato cento volte di più sul Lecce“. Ma ha imballato e frenato l’Atalanta, al netto dello sciopero del tifo integrale in Curva Sud, a parte lo striscione “La morte è uguale per tutti”, e di quello di un quarto d’ora in Nord, spingendo oltre l’ostacolo gli ospiti, dipinti ipocritamente come l’agnello sacrificale da troppe parti che la sanno sempre più lunga e ti dicono pure come deve pensarla. La rimonta al rigore di Karlsson s’è limitata alla fotocopia di Retegui, fermandosi al palo dello stesso aspirante al sorpasso del record di 24 gol in campionato di Pippo Inzaghi eguagliato a distanza di 28 anni.
Tutta la verità, nient’altro che la verità, citata doverosamente in premessa, nel dopogara di Gian Piero Gasperini dalla pancia di quel fortino al contrario, una vittoria su nove in campionato nell’anno solare, che sta diventando per i nerazzurri il Gewiss Stadium. Frase oggetto di interpretazioni bivalenti, forse, ma che la dice tutta. Non s’è mai visto un atleta o in generale un uomo ammosciato dal dolore. In guerra vincono i più equipaggiati, ma anche i più determinati, quelli a difesa di una ragion d’essere e del diritto di esistere, più che d’un territorio di conquista. La rabbia e l’orgoglio dicono tutto di un pari e patta nel quasi testacoda, che senza intaccare gli obiettivi dei più forti ha fortificato la corsa per la salvezza dei più deboli.
E tutti vissero felici e contenti, per prendersela con la Lega Calcio di Serie A, colpevole di aver voluto garantire una tantum la regolarità del campionato. Quando mai, infatti, a cinque turni dalla fine sarebbe stato considerato normale far giocare una partita tra contendenti in corsa per due traguardi totalmente differenti col vantaggio di conoscere non uno, ma più risultati, delle concorrenti? Dove sta scritto che i recuperi debbano svolgersi a funerali avvenuti? A Bergamo, dopo quel tragico martedì grasso del 1997, la notte dello schianto fatale a Chicco Pisani e Alessandra Midali, qualcuno aveva chiesto il rinvio col Vicenza o protestato perché si dovesse scendere in campo comunque? I compagni del garfagnino più veloce del fulmine lo fecero e stravinsero in nome del loro protettore dal Cielo. Esattamente come i salentini nella tragica e magica nottata di domenica 27 aprile. Un ulteriore rinvio non avrebbe avuto palesemente senso.
Il fatto che stavolta i più deboli siano poi passati per i perseguitati e i vessati di turno è stata un’arma ampiamente a loro favore. Affermare il contrario significa negare i fatti. Aggrappati al rigore di rimpallo (negli anni ottanta, chi l’avesse concesso o preteso, sarebbe stato bullizzato per il rimanente ciclo scolastico o professionale) concesso al primissimo caso vivisezionato con occhio di lince dalla famosa regia di Lissone un paio di azioni in ritardo, oltre che al sentimento di sconforto e rivalsa per non aver potuto salutare il loro carissimo amico, fratello e fisioterapista Graziano Fiorita, sotto autopsia per decisione dell’autorità giudiziaria, mica per un’ubbia di quei cattivoni che organizzano le competizioni tricolori, i ragazzi del Maestro Marco Giampaolo hanno dato il duecento per cento, spesso ingabbiando una squadra il triplo o il quadruplo più forte.
Un rinvio del recupero del match originariamente in programma, in punta di balletti dialettici in settimana, li avrebbe atterrati. Hanno strappato il punto per l’eccezionalità della situazione, dell’atmosfera, circonfusi dall’aura dell’ingiustizia subìta. Non già e non solo per le pezze di Falcone su Lookman e Zappacosta. La Bergamo del pallone mica poteva sbranarli, nella guerra psicologica e mediatica sempre tesa ad additare chiunque non ragioni, non parli e non si comporti da prèfica. Il ricatto morale pesa sulle gambe e sulla testa anche quando non te ne accorgi.
Manca la controprova? L’Atalanta è una miniera di zolfo d’acciacchi, recuperabili in caso di recupero procrastinato. Anche uno Stefan Posch in più avrebbe consentito, per dire, di rifiatare a uno degli highlander come Hien e Djimsiti apparsi a tratti svagati e poco performanti, o di riadeguarsi al ritmo partita a un Kossounou ancora in debito di novanta minuti. Senza contare che il Chapita, quello del record da battere, sabato pomeriggio aveva l’adduttore in tasca prima di doverlo riproporre in campo per amore o per forza, perché di altri sfondatori in rosa non ce ne sono. La terza in classifica ci sarebbe arrivata fresca e riposata. La quartultima, che ha invece potuto guadagnare un punticino raddoppiando il margine sulle inseguitrici Venezia ed Empoli, appesantita dalle gramaglie. E poi non è che si sia giocato all’indomani, ma a distanza di un’ottantina di ore. Piangiamo pure coi fratelli leccesi, ma vediamo di essere seri e obiettivi, che non costa nulla e fa bene alla salute psicofisica.


lunedì 28 Aprile 2025


