Democrazia: una bella parola, una realtà nata nel lontano VI secolo a.C. ad Atene. E il suo significato, che deriva appunto dal greco, è ancora più bello: demos che sta per popolo e kratìa per governo, significa esercizio del potere da parte dei cittadini attraverso assemblee, istituzioni politiche eccetera eccetera. Il buon vecchio Platone, così come l’altro filosofo Aristotele suo discepolo, non avevano una buona opinione della democrazia. Il primo l’aveva definita come il “governo del numero, della moltitudine”, considerata “la meno buona delle forme buone”. Il secondo, che aveva condotto i suoi studi all’accademia di Atene dove esercitò l’illustre predecessore, rincarò la dose definendola addirittura “una forma degenerata di politica”. Avrà avuto i suoi buoni motivi per avercela così tanto con la democrazia, credo. Forse ce l’aveva con questa forma di governo perché la bellezza del termine non si rispecchiava esattamente nel pratico? Mah, che dire.

A volte questi filosofi antichi sbarellavano. D’altronde il troppo pensare, le troppe congetture, il troppo studio è spesso fonte di “sovraccarico”. Io però, nel mio piccolo, non so perché (anzi lo so e faccio finta di non saperlo) ma questo meraviglioso vocabolo che è la parola democrazia, lo associo ad un altro con cui fa rima: oligarchia, il governo di pochi, di un “gruppo di persone” che, attraverso un’influenza preponderante, esercita il potere a proprio vantaggio. È significativa l’assonanza fra i due termini, più ancora lo è il parallelismo che si riscontra nella politica mondiale. Il salto mortale poi, la performance che mi spinge ad alzarmi in piedi e realmente battere le mani, è la capacità sviluppata da questi famigerati “pochi” di far credere che il potere sia nelle mani di “molti”. Magistrale dimostrazione di illusionismo. Adesso non venite a dirmi che non siete affascinati da quest’arte perché non ci credo: io attiro la tua attenzione di qui mentre ti fot… ti inganno di là. Stupefacente!

Chi non ha scampoli di memoria di quando eravamo bambini e ci si stupiva in modo diverso dell’inspiegabile? Anni fa mi dilettavo in banali giochetti di magia con i miei figli ed era meraviglioso vedere lo stupore sui loro volti. La stessa sorpresa l’ho rivista di recente negli occhi dei miei amati nipoti riproponendo quelle stesse magie (è gratificante, lo ammetto. Chiedo umilmente scusa ai  veri professionisti per l’utilizzo del termine mago associato alle mie pratiche). Diventando più grandicelli e rifacendo quei semplici giochi di prestigio, ho notato sul loro volto un’altra espressione: il sospetto, l’idea che “mi stai prendendo per il cu… fondelli”. Da qui due soluzioni: la prima di aumentare le mie capacità di illusionista ma, diciamocelo chiaramente, non so far di meglio. La seconda far leva su altri aspetti della psiche umana per continuare a distrarli, ad illuderli. Magari spingere sulla paura.

Ah, beh, se si riesce a far perno su quella il gioco è fatto, ma così facendo avrei creato un trauma, un baco che negli anni si sarebbe sviluppato in problemi sempre più grandi. Oddio no, ferma! Il gioco è bello finché è corto. Infatti, il mio castello fatto di illusioni è cascato in una bella risata generale, dapprima assieme ai miei figli, ed a suo tempo accadrà con i miei nipoti. Ma, chiedo: tutti la pensano come me? Intendo “fermarsi per non causare il peggio”. Beh, davanti all’innocenza di un bambino il 99% delle persone credo lasci perdere sebbene tentati di proseguire perché è davvero ammaliante la sensazione del potere. Ma se questa situazione la portiamo ad un livello superiore, al nostro livello ad esempio, all’adulto, inserendoci pure interessi economici (magari grossi interessi economici), quanto ci impiegherebbe una persona o un gruppo di persone a far leva sulla paura per raggiungere i propri scopi? A creare danni irreparabili alla psiche umana per interesse personale?

La risposta mi ha terrorizzato e mi terrorizza tutt’ora e sta tutta nell’assonanza tra i due termini di cui sopra: l’interazione fra democrazia e oligarchia. È come servire un gatto per cena invece del coniglio: una minoranza si accorgerà sicuro della differenza ed alcuni di questi si lamenteranno gridando all’abominio, ad altri invece piacerà pure deridendo i primi. La maggioranza invece… ah la maggioranza si gusterà il piatto commentando con un sontuoso “cazzarola che buono sto coniglio”, nemmeno prendendo in considerazione la possibilità che abbiano servito un felino per cena, ridendo persino assieme a quel burlone del cuoco che passa fra le tavolate miagolando.

Colgo l’occasione per un saluto alla memoria di quei due mattacchioni di Platone e Aristotele che la sapevano lunga: non per niente erano filosofi. Meditate gente, senza dimenticare quel pizzico di ironia con cui spesso condisco i miei scritti.

Aloa a todos.

Marcus Joseph Bax