Ne parlavo a uno studente universitario in gamba, il Caccia, un nostro collaboratore, prossimo alla laurea e al tesserino da giornalista pubblicista, che mi faceva un po’ di domande per la sua tesi, che sicuramente un giorno leggerò. Intanto la stima, che a me è sempre una cosa che commuove, che mi ha cercato come un giornalista da ascoltare, addirittura sotto il consiglio di una sua docente, tra i grandi che scrivono di pallone, io che sono uno abbastanza insicuro, insomma di quelli che si sentono delle mezze seghe, in cura psicoterapeutica ormai da secoli. Poi l’argomento, il calcio, sul podio tra le cose che mi piacciono di più al mondo, al terzo posto subito dopo scrivere e fare l’amore. Tralasciando le altre due, sipario sul pallone, che è questa cosa magica, che unisce, col suo linguaggio universale, il solo antidoto che abbiamo ora a questa Italia intristita e fascistoide, dove i migranti vengono bloccati alla frontiera, rinchiusi, spesso ricacciati indietro, perché “clandestini” e “irregolari”. “Le parole, Caccia, le parole contano”, e io mi domando perché chi sta al comando del nostro Paese chiami sempre con sinonimi da fuorilegge creature che scappano da eccidi e da guerre infinite, in cerca della pace e di un mondo migliore, rischiando la vita nelle acque del Mediterraneo, il mare di mezzo, stando all’etimologia una proprietà comune, di tutti noi, di chi sta di qua e di chi sta di là, dei ricchi e dei poveri, degli europei e degli africani. Sono reduce da una vittoria a Orioland grazie a Torres, un attaccante visionario, eccezionale, e a Riki Perù, un’ala destra dal dribbling fantastico. Non ho la minima idea del loro luogo di provenienza, né della data di scadenza dei loro permessi di soggiorno, so solo che ero in campo con due calciatori fantastici, il centravanti e il laterale. Quello mi importa, quei ruoli, il centravanti e il laterale, gli assist e i gol, i colpi di testa, le corse a perdifiato e le rovesciate. Non da dove arrivano, non le loro carte. Per questo il pallone è più avanti. “Le parole, Caccia, le parole contano”, per me lo straniero non è uno straniero, ma una punta, un centrocampista o un difensore, un terzino, un portiere o un mediano. Tutto qui ed è tantissimissimo, noi del calcio siamo così e forse dovremmo metterci in politica. Sicuramente certe risse in centro non accadrebbero più.
Matteo Bonfanti
Nella foto: io calciatore, negli spogliatoi, prima di entrare in campo