Da inizio di febbraio, supergiù al 4 maggio, quando molte attività sono riaperte e molte persone sono potute uscire, sono rimasti dentro di noi scolpiti alcuni momenti, alcune giornate che rimarranno per sempre nei nostri ricordi di un periodo nero. Io abitavo a Napoli, nel 1980 ero un bambino quando venne il terremoto, fece parecchi danni in Irpinia, ma anche a Napoli e provincia, seppur senza morti e gravissimi danni al mio quartiere  (rione Incis). La terra tremò forte e le gambe pure, dalla paura, da quella sensazione di impotenza che genera ansia e panico.  Ricordo perfettamente ogni istante di quei 45 secondi nei quali tremò la terra. Ricordo dove ero esattamente, con chi, come se una fotografia fosse stata scattata nel mio cervello, conservando sensazioni e percezioni intatte. Io e la mia famiglia dormimmo in macchina per qualche giorno, nell’attesa che la perizia desse il via libera confermando l’integrità dello stabile. Furono momenti concitati e drammatici, ma la paura e il dramma generarono un senso di appartenenza e un affetto reciproco che ci diedero la forza di andare avanti con fiducia e allegria, ingrediente indispensabile per noi napoletani. Ora, con questo maledetto virus, rivivo le stesse sensazioni. Parlo con molte persone durante le mie giornate, la parola non mi manca certo, ma quel che noto è che abbiamo bisogno, ancor più in questo periodo, di persone che ascoltino, in silenzio, i racconti che vengono dalle famiglie colpite dal virus. Ricordano perfettamente il giorno, l’ora ed altri dettagli di scene apocalittiche di questo periodo, l’ossigeno, il saturimetro, la lontananza dai cari, la solitudine di quei giorni.
Ascoltare, un’arte, senza interrompere chi sta parlando, perché quella è la sua storia e il suo dramma, fa niente se sfiorato o vissuto fino alla perdita di un caro. 
Le persone vogliono raccontarsi ed io sono qui, pronto ad aprire le porte del cuore che diventa il cuscino più morbido dove far stendere le proprie frustrazioni. Terremoto o virus che sia, un dolore si racconta per cacciarlo via, quindi gente mettete da parte il vostro “io” e ascoltate chi vuol raccontare la sua storia. Come canta Vasco “credi che sia possibile dimenticarsi di sé?”. 

Igor Trocchia