Vorrei sbagliarmi, ma quello che vedo è che l’emergenza covid si sta trasformando nella solita vecchia storia, quella che speravo avremmo superato dopo i tragici mesi vissuti a marzo e ad aprile, la divisione tra i pochi ricchi che ci sono in Italia, che mettono al primo posto la tutela della loro salute, e gli altri, incazzati perché preoccupati dalla miseria dietro l’angolo. Durante il primo lockdown questa divisione non c’era, eravamo tutti accanto, lontani, ma vicini, a farci le carezze, perché la gran parte aveva ancora le risorse economiche, ma pure psicofisiche, per tirare avanti. Non è così in questo nuovo blocco, perché la maggioranza di noi è già completamente provata dalla scorsa primavera. E siamo tornati gli uni contro gli altri, su facebook come in strada, in un odio strisciante e crescente tra chi ha moltissimo e chi invece arriverà a non avere più niente.
Io sono un giornalista, in questo momento famosino per via dei miei racconti da ridere, quindi sono l’ultimo che può dare delle ricette per salvare la mia gente. Resta che anche io, che non ho una laurea in economia, penso che qui da noi l’unica via di uscita possibile sia il sostegno a chi sta perdendo il proprio lavoro. Il compito è delle istituzioni, lo Stato, le Regioni e i Comuni, che mai come ora devono avere il coraggio di chiedere un sacrificio a chi ha tanto tanto per non fare andare fuori di testa chi rischia di rimanere senza un euro in tasca, nella disperazione, che spesso si trasforma in rabbia.
Matteo Bonfanti