Prendo in prestito il pensiero di tanti capitani delle nostre squadre, ragazzi che non a caso portano la fascia sul braccio quando l’arbitro li chiama per il famoso appello: serviranno anni per tornare al calcio che conosciamo.
Ma, badate bene, le loro parole non si devono alla mancanza di speranza. Ognuno di loro è convinto che Bergamo riuscirà a vincere questa incredibile battaglia. Tutti concordano che da noi la gente è fortissima, con tutte le carte in regola per mettere ko questa brutta malattia. Servono forza, volontà e coraggio, e sono le tre grandi qualità dei bergamaschi, in campo come nella vita.
Le frasi dei nostri capitani, bellissime perché dalla grande sensibilità, ci raccontano cos’è il pallone di provincia, il massimo della felicità. E il ragionamento che fanno le bandiere orobiche è più o meno sempre lo stesso: le ferite sono tantissime e ci vorrà un sacco di tempo per rimarginarle. Si potrà scendere in campo solo quando il pensiero di chi non c’è più non occuperà ogni momento della nostra vita, quando scomparirà la paura di un altro lutto, di un nuovo contagio, di altre lacrime, quando ci si potrà abbracciare dopo un gol, quando si potrà tornare a far festa fino a tardi dopo una bella vittoria. Si ripartirà quando nei cuori dei dirigenti e degli atleti la tristezza inizierà a lasciare il posto all’allegria, perché quella è la benzina che muove il gioco più bello del mondo, solo quella.
Più dell’intervista a Baretti, comunque da stimare per l’interruzione del nostro pallone quando ancora in Italia regnava la confusione, la risposta alla domanda di noi che amiamo questo straordinario sport sta tutta qui: i campi torneranno a riempirsi quando lo decideranno i nostri cuori.
Che nel pallone provinciale ce ne sono tantissimi belli belli, che meritano. Dal Peso, lui, proprio lui, re Giorgio, con cui da domani partiamo su internet con questo progetto folle e dolcissimo, proprio come l’ex bomber della Tritium, per aiutare gli ospedali bergamaschi, passando per i ragazzi dell’Oratorio Cologno, che non ci hanno pensato due volte e hanno versato i loro rimborsi all’ospedale Papa Giovanni. In mezzo mille e passa persone, presidenti, dirigenti, allenatori e calciatori che fanno il possibile, poco o tanto, quanto uno può permettersi, facendo squadra per salvare con una donazione quanta più gente possibile.
C’è questo intervento piccolo e meraviglioso, che a leggerlo mette un sacco di speranza. L’ha scritto con la consueta umiltà mister Albergoni, quello del Bergamo Longuelo dei miracoli. Ha elencato le qualità umane che devono avere un presidente, un allenatore, le persone dello staff, il capitano, il vicecapitano e i calciatori di una squadra che funziona, una forte forte, proprio come la sua, una di quelle che vuole vincere il campionato, magari quello di Promozione, il più difficile di tutti.
E ha fatto il parallelo con chi sta prendendo le decisioni oggi in Italia nella partita contro il coronavirus, dal premier, al presidente della Regione, ai sindaci, ai loro vice, fino ai cittadini, appunto i giocatori, noi che siamo in campo a lottare.
E ha sognato che l’Italia fosse come i suoi gialloverdi durante un big match, immaginiamo contro la rivelazione Villongo.
Mi accodo, applaudendo il nostro tecnico e allargando la cosa a ogni club, soprattutto a quelli delle valli, della Val Brembana e della Val Seriana, le cui parole in questo momento mettono le lacrime agli occhi. E’ durissima, ma ha ragione il tecnico cittadino, per superare questo momento terribile serve quella spericolata voglia di spaccare il mondo che c’è nel pallone bergamasco quando una squadra che ci crede, tutta unita, affronta la prima della classe col solo obiettivo di asfaltarla.
Matteo Bonfanti
Ps – Oggi il nostro giornale non va in edicola. E’ in regalo sul nostro sito (www.bergamoesport.it). Scaricatelo. E’ il nostro modo, piccolo piccolo, per provare a starvi vicino.