Lo chiamavano “il diavolo rosso”. Nessuno conosceva la sua vera identità ma tutti sapevano di quel demonio che in sella alla sua moto sfrecciava per le strade della bergamasca mettendo spesso in ridicolo le forze dell’ordine. Molta gente fu sentita in qualità di testimone raccontando verità che spesso collimavano ma a volte, palesemente ingigantite, che si smentivano l’una con l’altra. Si era comunque appurato dalla fisicità che il pazzo fuorilegge fosse un maschio di età indecifrabile: chi diceva fosse un ragazzotto, altri un trentenne, talaltri azzardavano i cinquanta o poco più. Di certo v’era che indossasse sempre la stessa tuta in pelle color rosso fuoco, così come la tinta della moto: “una Yamaha R1 del 2004 sapientemente elaborata” avevano riportato le orecchie più sensibili e tecniche, sottolineando inoltre l’invidiabile stile di guida del centauro. Altro particolare importante era che sul retro della motocicletta non vi fosse la targa convenzionale ma un fac-simile con scritta una sola parola: LOST.
Erano mesi che il trasgressore scorrazzava per le strade a velocità folli mettendo in serio pericolo gli altri utenti della strada, ma il fatto che sfuggisse sistematicamente alla cattura da parte degli organi di polizia lo aveva innalzato a ruolo di beniamino perché osava sfidare il sistema. Quest’ondata di consensi giunse alle alte sfere della politica e non piacque affatto tant’è che fu fatta pressione alle autorità preposte dando loro pieno appoggio e, da uno sporadico interesse, si passò ad un notevole spiegamento di uomini e mezzi per catturare (o stroncare) il ribelle. Da quel momento in poi le uscite del diavolo rosso diminuirono ma nel contempo si ampliò il suo raggio d’azione a tutta la Lombardia: furbescamente evitò le strade di montagna che finora erano state fra le sue “piste” preferite, appunto per la possibilità di posti di blocco a cui non avrebbe avuto scampo. Un giorno, durante un rocambolesco inseguimento a sirene spiegate che vide coinvolte sei pattuglie della polizia stradale e tre dei carabinieri, all’altezza della zona industriale nel comune di Grassobbio quel demonio fu obbligato a convergere sulla via Zanica dove lo aspettavano altre due volanti piazzatesi in mezzo alla strada. Accortosi dell’ennesimo blocco stradale il pilota agì sui freni della moto esibendosi in una derapata ai limiti delle possibilità fisiche, che gli consentì di infilarsi disperatamente in una via laterale. Due delle pantere della polizia, impegnate nell’inseguimento ad altissima velocità, si tamponarono impedendo alle altre di inseguire immediatamente il fuggiasco ma, grazie al contatto radio, fecero muovere i colleghi che bloccarono l’altra uscita dell’area industriale. Pochi secondi dopo si aggiunse anche l’elicottero il cui pilota comunicò che secondo la visuale dall’alto la via fosse completamente sgombra, eccezion fatta per due autoarticolati telonati in fase di carico e un camioncino. Nessuna traccia quindi del motociclista che, presumibilmente, si era rifugiato in uno dei capannoni. Arrivarono altri rinforzi assieme ad unità cinofile che circondarono la zona ispezionando ogni centimetro quadro ma, incredibilmente, non trovarono niente e nessuno di sospetto. Tutti i lavoratori presenti furono interrogati per più volte e per molte ore ma nulla venne alla luce. La notizia dell’evento straordinario trapelò arrivando agli organi di stampa e all’opinione pubblica che, oltre a deridere per l’ennesima volta le forze dell’ordine, elevarono il pilota in sella alla moto rossa come spirito soprannaturale: un demone alla stregua di Ghost Rider tornato sulla Terra per adempiere ai suoi ultimi doveri. L’esaltazione raggiunse livelli impensabili cosicché iniziarono a comparire le prime magliette ed i primi slogan a supporto del diavolo rosso, che da quel giorno però scomparve per un lungo periodo. Nonostante ciò, l’attenzione delle autorità rimase comunque altissima.
Una notte, nel distributore di via Borgo Palazzo a Bergamo, proprio nelle vicinanze del comando dei carabinieri della città, il signor R.M. (testimone del fatto) stava rifornendo la propria autovettura quando un rombo assordante attirò la sua attenzione: vide una moto rosso fuoco fermarsi alla pompa di benzina accanto alla sua riconoscendo nel pilota il pluriricercato dalle autorità. Come egli stesso dichiarerà in seguito, il signor R.M. rimase impietrito ad osservare l’uomo mentre si riforniva di benzina ignorando completamente la sua presenza. Affermò inoltre che il centauro in tuta rossa, la cui identità era celata dalla visiera nera del casco, rimase imperturbabile anche quando si udirono le sirene provenire dalla vicina stazione dei carabinieri, salendo con estrema calma in sella, accendendo la sua moto il cui rumore “faceva tremare la carme addosso” (cit.). Il presunto demone partì con un accelerazione mostruosa, un ruggito del motore che fece vibrare i vetri delle abitazioni limitrofe. Ma stavolta la sua fuga durò ben poco perché da via Recastello, una traversa di Borgo Palazzo, giunse a tutta velocità una gazzella dei carabinieri che lo speronò sul fianco scaraventandolo contro un palo della luce sul lato opposto della strada, il quale fu divelto dall’urto. Il corpo del pilota, dopo aver colpito il lampione, fu scaraventato a grande distanza strisciando per un centinaio di metri e fermandosi in mezzo a via Daste e Spalenga riverso sull’asfalto, immobile, apparentemente privo di vita. La strada fu interamente bloccata mentre la notte era illuminata da una miriade di luci blu lampeggianti. In quel momento il volontario signor M.C, alla guida dell’ambulanza di Grumello del Monte, in compagnia della collega signorina A.M., stavano tornando alla loro sezione dopo un trasporto di routine transitando dalla suddetta via. Allarmato dalla situazione e costatandone in pochi attimi la gravità, comunicò a chi di dovere l’intervento per prestare soccorso e, come da loro stessi dichiarato in seguito, richiedendo un immediato intervento dell’auto medica dal vicino ospedale di Seriate. La prima a scendere e recarsi dalla vittima dell’incidente fu la signorina A.M. ma l’ufficiale dei carabinieri, in piedi davanti al corpo esanime, le intimò di andare a soccorrere il giovane suo collega rimasto avvinghiato al volante dell’auto che aveva speronato il fuorilegge perché in evidente stato di shock. La ragazza gli dedicò uno sguardo di condanna e non perse tempo a rispondere apprestandosi a soccorrere il motociclista il quale non aveva più indosso il casco, probabilmente perso nel violentissimo urto contro il palo: il volto del centauro era infatti deturpato dalla lunga strisciata sull’asfalto rendendolo una maschera di sangue irriconoscibile. Gli occhi erano sbarrati e dalla bocca dell’uomo uscivano rivoli di sangue indice di un’emorragia interna sicuramente in seguito ad un forte colpo all’addome: un rantolo angosciante ne preannunciava l’imminente morte. Come raccontato successivamente dalla volontaria signorina A.M. tutto si svolse in pochi secondi: l’uomo a terra aprì lentamente la bocca, lei lo pregò di non sforzarsi a parlare, lui le sorrise mentre le lacrime gli sgorgavano come un fiume in piena e con l’alito ancora in corpo pronunciò le sue ultime parole:
“sto arrivando amore mio” dopodiché spirò.
Ancora oggi, a distanza di mesi, l’identità dell’uomo non è stata rivelata per via dell’assenza di documenti e nonostante un successivo esame del DNA, forse occultato. Indiscrezioni che hanno il peso di fantasie romantiche raccontano però di un amore strappatogli con crudeltà dalla vita e, straziato dal dolore, egli abbia reagito sfidando giornalmente la Morte.
Il giovane carabiniere responsabile dello speronamento fu insignito di un riconoscimento ufficiale per aver liberato le strade da un pazzo scriteriato che stava mettendo in serio pericolo l’intera Lombardia. Dopo un anno, passato dentro e fuori da ospedali psichiatrici, il ragazzo ha lasciato l’arma prendendo la qualifica di ASA ed ora presta assistenza presso un ricovero per anziani non meglio specificato.
Marcus Joseph Bax