In questo tempo di sogni sospesi, di nuvole notturne grandi e grosse, uguali uguali agli elefanti giganti che stanno nell’Africa nera, mentre sono di fronte al nono gol di Robin Gosens, un’ala proprio come me, penso alla mia ultima partita di calcio strada.
E’ il 1990, sono a Lecco, l’Italia è favorita ai Mondiali, Chernobill sembra passato e io ho già tredici anni. L’appuntamento è alle sette di sera, quando non passano le macchine. Via Boccaccio, la mia, che comprende anche via Ariosto e che ha già battuto 7-1 via Virgilio, se la vede con via Ca’ Rossa, la più lunga del quartiere e che schiera due talenti dal valore assoluto, che giocano già nei giovanissimi del Lecco. Si chiamano Marco e Maurizio Colombo, sono due gemelli, ma diversi, comunque tutti e due bravi da impazzire, i migliori del rione. Il primo è alto, ha gambe lunghe lunghe e gioca in mezzo, ferma gli avversari, riparte a testa alta e non dribbla quasi mai. Il secondo, Mau, è piccolo e brevilineo, scarta avversari su avversari, vola sulla sinistra e poi la mette in porta, quasi sempre a giro, segnando una volta su due.
Ma noi abbiamo Gianni, Gianvittorio Malugani, che è già una bestia, è giovane, ma già formato, gigante, muscoloso, e tira bordate da ogni posizione. E’ generoso, recupera palloni su palloni, ha un gran cuore e non si scoraggia mai. E abbiamo Cristiano, portiere eccezionale, ma che non vuole stare mai in porta perché si annoia un po’. C’è solo da convincerlo, da farlo sentire quell’attimo in colpa, perché è la sfida della vita e lui deve sacrificarsi per l’onore della via. Abbiamo i due Maniglia, Gigi e Paolo, che sono scarsi come pochi, ma che fanno il loro, impegnandosi fino alla morte. Ci sono io, che sono così così, ma che ho addosso la voglia di vincere e il pallone non lo perdo quasi mai. E poi ci sono i nostri due stranieri, forti fortissimi. Sono Davide Gandolfi, tecnica e classe sopraffina, direttamente da via Milazzo, e Claudio Puledda, professione bomber, uno che in area la mette con i piedi, con le ginocchia, di spalle, di testa, ma pure con le mani. Insomma Pule segna sempre. E per questo è la stella del vial Turati, comperato all’ultimo secondo dopo un’interminabile trattativa, che mi ha portato a regalargli sette biglie dei ciclisti, la formazione del Subbuteo del Milan campione d’Europa nel 1963 e dodici micromachines rarissimissime.
“Macchina…”. E al primo minuto ci fermiamo. Ridiamo e scherziamo, parliamo di Barbara, che di cognome fa Marasco, ed è con Silvia Cremonini il sogno di tutti noi. “Ma hai visto che bocce ha la Baby? Quando facciamo un bel torneo di nascondino in coppia?”.
E la Ritmo se ne va. E noi ripartiamo. Sostanzialmente ci meniamo a metà via, che è dedicata ad Ariosto, che nessuno di noi ancora sa bene bene chi sia stato. Ma è il nostro stadio, ci sta ed è anche meglio del Maracanà. Si arriva al 10, che significa che se una squadra arriva al 5 bisogna cambiare campo, che è una regola che più giusta non si può perché la strada scelta per la sfida è in leggera discesa. Gianni è indiavolato e ne fa subito tre, il primo di testa, il secondo di tacco, il terzo con una bordata al volo che lascia ognuno di noi senza fiato. Ma ai gemelli Colombo non va, Marco regala assist su assist al fratello, che in due minuti ne fa quattro, mettendoci d’improvviso sotto. Io, Gando e Puledda ci cerchiamo, giochiamo in squadra insieme, all’Aurora San Francesco, sappiamo giocare di prima intenzione, ce l’ha insegnato Giacomo, che è il nostro allenatore, simpatico, coi baffi lunghi lunghi e due figlie bellissime che hanno più o meno la nostra età. Siamo un trio meraviglioso e ribaltiamo la sfida, al riposo sul 5-4 per noi dopo una lunga diatriba se il gol di Pule fosse o non fosse valido, visto che le traverse non ci sono, si fanno ad occhio, a secondo dell’altezza del portiere.
“A tavola…”, la nonna di Gianni lo chiama e lui, che è un bravo tipo, non può dire di no. Costretto al ritiro perché è arrivata l’ora della cena. E per noi sono cazzi amari, perché lui è il più forte di tutti, ma ci deve lasciare. Ci toccherà resistere, puntando su veloci ripartenze, sperando che Lele, che è Gabriele Paleari, o il Negro, che è il figlio di quello che a Lecco noleggia le videocassette, finiscano al volo di magnare e ci vengano a cercare. Restiamo in inferiorità numerica, i due Colombo paiono due campioni del Brasile dell’anno ottantadue e d’improvviso siamo sotto, 9 a 7 per loro. Noi in confusione, loro sicuri, nella magia dei colpi perché per vincerla gli basta solo un gol.
“Lasciatemi riposare, andate a casa vostra”, la signora Cavalli grida e ci lancia un secchio d’acqua dalla sua finestra, che sta in alto, al terzo piano. Non prende nessuno, ma bagna il campo di cemento e ci fa quell’attimo rifiatare. Ci serve, perché prima io, di testa, poi il Gando, con un diagonale delizioso, la rimettiamo in pari: 9-9.
Sono le otto e un quarto, di quattordici che eravamo, siano rimasti in otto. E la Vale, che è mia mamma, mi chiama dal terrazzo: “Matti, è ora. Vieni…”. E in più non si vede nulla perché è arrivata la notte e da dieci minuti giochiamo solo nella parte di via che sta sotto al lampione. E’ finita, anche perché il pallone, il Tango di gomma, comperato all’edicola Malpetti, è mio. Decidiamo per il pari, che non scontenta nessuno, ma ci fa sentire tutti dei nuovi super eroi del fubal, chi il nuovo Baggio, chi col fiuto del gol di Schillaci, chi col dribbling di Donadoni, chi, invece, identico a Franco Baresi. E Cristiano s’immagina tra dieci anni come Zenga, che è il fortissimo numero uno degli azzurri. Domani è un altro giorno, quello della rivincita, fissata all’oratorio, dove ci sono le portine e un sacco di ragazze. Ci saranno Barbara e Silvia, ma pure Paola, che vedo sempre fuori da scuola, senza mai trovare il coraggio di dirle due parole.
Matteo Bonfanti
A Vinicio e a Zeno, i miei figli, che ieri mi chiedevano cosa facessi alla loro età, loro che non hanno il calcio strada, che era qualcosa di bellissimo e che servirebbe tanto perché fa stare un sacco bene alle gambe e pure al cuore.