Il Loreto visto dagli spogliatoi, ottava puntata, sabato 27 settembre

Quella di domenica contro la Roncola non sarà una partita come le altre. Sarà infatti l’ultima con la maglia del Loreto del “Lore” (Lorenzo Biffignandi) e, probabilmente, sarà anche la sua ultima vera partita di pallone di quelle che aspetti tutta settimana, in cui c’è un arbitro, degli avversari, delle divise ma soprattutto di quelle con i 3 punti in palio. Insomma l’ultima di quelle partite “ufficiali”. Impegni di studio lo porteranno a Genova, ce lo ha detto giovedì sera un po’ sommessamente e con gli occhi pieni di ricordi e di nostalgia per quello che è stato il suo mondo calcistico, ma non solo, per 13 anni. Ci ha detto così al termine del suo ultimo allenamento in cui, per salutarci, ha portato dolci e bevande a volontà, per provare ad addolcire un addio dal retrogusto amaro. Domenica sarà a disposizione del mister e non ha tardato a far sapere a tutti che “va bene salutarci ed essere tristi ma questa partita, se la giocherò, voglio disputarla come se non ci fosse un domani. E vincerla”. E lo farà. Perché, come ha detto “il Fioro” durante la partitella di giovedì: “Se il Lore dice una cosa è quella”. Già perché serietà, sacrificio, umiltà, senso del dovere (tranne quando c’è da difendere…) capacità di mettersi al servizio della squadra e dei compagni-amici sono sempre stati valori che gli sono stati riconosciuti da sempre. Sin dalle primissime stagioni in cui il campo lo vedeva tutto e di fronte con i guanti a proteggergli le mani: sì, perché la sua carriera calcistica l’ha iniziata come portiere e anche con buoni risultati ma i suoi compagni erano troppo forti e così di tiri in porta ne arrivavano davvero pochi e allora un giorno, quasi per scherzo, è uscito a toccare il pallone coi piedi e a fare gol e non è più tornato indietro. Ha giocato dappertutto dopo la porta: in difesa, centrocampista, ala, centravanti e anche in panchina, accettandola senza rumore durante il primo anno di prima squadra ma sempre scalpitando per divertirsi in campo e riuscendo a ritagliarsi numerosi spazi. Per questo il gruppo è rimasto dispiaciuto dopo il suo annuncio, anche se il fatto che avrebbe abbandonato più o meno in questo periodo lo sapevano tutti da agosto ma quando arriva la notizia ufficiale e irrevocabile è sempre cosa diversa. In tanti hanno provato, anche sorridendo, a dirgli “e va be ma Genova-Bergamo in 3 ore la fai: parti al venerdì sera e alla domenica sei qui per giocare”. Ma non c’è stato verso perché la risposta è sempre stata: “Devo studiare, non riesco”. Allo stesso modo tanti si sono interessati alla sua carriera scolastica preoccupandosi per l’amico e non per il giocatore testimoniandogli affetto. Lo hanno fatto i compagni ma anche dirigenti e mister, i primi a dire spesso e a dimostrare che Loreto è una famiglia prima che una società di calcio. E’ vero, chi scrive è di parte, ma è anche vero che certe dimostrazioni di amicizia che gli sono state rivolte e certe sue qualità non sono soggettive, non si discutono, sono lì da vedere. Ed è anche vero che, forse, chi scrive è il più triste di tutti perché giocare nella stessa squadra con un fratello è un privilegio di cui possono godere in pochi. Non solo nella stessa squadra ma siamo stati anche quasi compagni di reparto, a chiamarsi la palla come succedeva nel corridoio di casa durante le partitelle che organizzavamo da piccoli tra un compito e un altro. E’ stato magico assaporare l’effetto di giocare “in famiglia”, di andare all’allenamento insieme, di capirsi con uno sguardo negli spogliatoi e in campo, di commentare le partite una volta a letto nella stessa stanza e ridere fino a notte fonda delle battute dei compagni coinvolgendo “il Lale”, l’altro personaggio di famiglia il giorno dopo con messaggi da lacrime (di risate) agli occhi. Tutto questo è durato ma non c’è gol, doppietta, tripletta, promozione o vittoria di campionato che regga il confronto: questa è stata la mia esperienza calcistica migliore di sempre. Grazie Lore.

Federico Biffignandi