Loretario, il Loreto visto dall’interno dello spogliatoio. Domenica 14 settembre, quinta puntata

di Federico Biffignandi
Ci sono dei momenti durante le partite in cui un passaggio sbagliato, una sostituzione, un gol mancato o un rimpallo cambiano il corso degli eventi logici che, fino a quel momento, avevano dato ragione ad una squadra piuttosto che ad un’altra permettendole di mettere a referto un parziale rassicurante. E’ quello che è successo a noi domenica sul caldissimo (in tutti i sensi) campo del Comonte durante la seconda giornata. Un gol alla fine del primo tempo (costato un paio di cartellini gialli per proteste siccome ritenevamo la posizione dell’attaccante in chiaro fuorigioco) e uno all’inizio del secondo ci avevano steso. Ko con altri dieci o forse venti minuti ancora di nebbia totale. Sono quei momenti in cui, da attaccante, aspetti la palla che non arriva mai perché la manovra non è fluida, non passa mai la metà di quel maledetto campo che sembra lungo chilometri. Ti muovi arrancando, ti sbracci, la chiami, sproni i tuoi compagni ma non c’è verso: ogni spazio è chiuso, ogni controllo è approssimativo, ogni passaggio risulta sbagliato perché probabilmente quei movimenti che fai sono sbagliati e la rabbia monta. Non solo quella, ti assale la sensazione di smarrimento e lo sconforto, ti prende la voglia di sentire il triplice fischio e farla finita. Poi, improvvisamente, finalmente la palla arriva tra i piedi in verticale, la apro come ho cercato di fare altre volte in questa partita ma stavolta non finisce fuori dal campo; grazie ad un infortunio del terzino, arriva sulla sinistra per il “Terra” che penetra in area sormontato dalle grida dei compagni che chiamano la palla. Crossa al centro basso col portiere che la fa sua ma inspiegabilmente la lascia lì per “il Dona” che deve solo appoggiare in rete. Non c’è tempo per esultare, trovo le forze di scattare per riprendere la palla in fondo al sacco e riportarla al centro. “Adesso la pareggiamo, dai raga, adesso la pareggiamo” ci diciamo tra di noi, poco convinti ma volenterosi. “Il Lale” batte a rete di destro dopo un’azione magistrale ma la palla fa la barba al palo: la sua reazione è così rabbiosa che provoca una sua imprecazione insolita. Il rumore della palla quando la tocchiamo noi ora, però, fa un rumore diverso, sembra che faccia meno caldo, adesso sembriamo noi in 15 e loro in 7. Al 90’ “Il Penna” penetra in mezzo al campo, attira su di sé tre uomini con la smorfia tesa e decisa mentre gli avversari che lo strattonano hanno il sudore negli occhi e li sento ansimare mentre gli corro in parte chiamandogli la palla. A 30 metri dalla porta finalmente me la passa, mi giro verso la porta e vedo tutto libero davanti a me mentre “Il Terra” da una parte, “Il Dona” dall’altra e “Il Lale” dall’altra ancora mi chiamano il pallone con qualche verso che sento solo lontano da me perché sono concentrato, stanco e vedo solo la porta. E’ così piccola. Ma arrivato ai venti metri decido di tirare e già so che la palla andrà dentro. Lo so perché quando segni il piede parte leggero, il pallone ti chiede dove deve andare di preciso e risponde ai comandi e poi intervengono i fattori come la fortuna e il portiere che sbaglia il tempo. Il pallone parte e sento un “No ma cosa tiri?” generale ma una frazione di secondo dopo ci ritroviamo ammassati sotto la tribuna a festeggiare il pari. Finirà così, 2-2, la partita delle emozioni e delle liti reiterate con arbitro e compagni, la partita del “Cino” (Matteo Scintu) che arrivava da ex e permetteva agli avversari di dire “marca Scintu” invece che il solito “marca il 9”, la partita che ci ha confermato quanto il calcio sia strano. O forse semplicemente da quanto i risultati dipendano dalla testa dei 22 giocatori. D’altronde il mister prima del match nel discorso pre-partita e a fine primo tempo con la faccia più tesa ci aveva detto: “Dipende solo da noi, se giochiamo da Loreto per 90’ non ci batte nessuno, se caliamo anche solo un minuto perdiamo contro tutti. Siamo lenti, confusi, poco coraggiosi fino ad ora – ha detto al riposo – ma adesso torniamo in campo con un altro spirito e andiamo a far vedere chi siamo, chiaro?”. Sì, chiaro mister.