Un pari che non si discute. Così la sfida tra l’Atalanta, la più bella del reame calcistico nostrano, e il Milan, la squadra del momento, ha prodotto un risultato equo che non scontenta nessuna delle contendenti. La perla di Calhanoglu, la potenza di Zapata, il rigore fallito da Malinovskyi (intervento proditorio di Biglia sull’ucraino) con la maledizione della porta Sud del Meazza, il palo di Bonaventura assommano in modo evidente il pari e patta dopo novantaquattro minuti comunque di buon calcio. Senza dimenticare le sviste degli arbitri; Doveri in campo e di Mariani al Var. Intanto i nerazzurri confermano la loro imbattibilità infilando, come una gemma dietro l’altra, il sedicesimo risultato utile consecutivo. E vale anche per il Milan che dalla ripresa del campionato non ha mai perso. Una partita che è stata la summa di un equilibrio e solo una trovata vincente di qualche genio del gioco del calcio, e in campo non mancavano, poteva sbloccare la partita. Poteva essere, appunto, la stupefacente punizione di Calhanaglou (Gollini pollastro nell’occasione) o qualche altra soluzione fantasmagorica di gente come il Papu o come Muriel. Ma non è la partita dei rimpianti benché l’aspirazione al successo non mancasse nell’animo dei giocatori, non si poteva pretendere di più alla conclusione di questo terribile tour de force che si sta avviando alla conclusione. Il Milan ha cercato la forza, l’Atalanta l’efficacia. In mezzo al campo, ad esempio, qualche palla sporca di troppo, duelli così così, palleggi sfilacciati seppur la volontà di ribaltare l’andamento della partita fosse viva. Atalanta e Milan giocavano quasi a rimpiattino, evitando squarci deleteri e, soprattutto, errori fatali. I rossoneri privilegiavano i lanci lunghi per Ibrahimovic che gli permettessero così di aprire il gioco per gli inserimenti di Rebic o Calhanoglu, l’Atalanta preferiva il fraseggio e l’ampiezza della manovra per concluderla con Zapata. All’Atalanta il secondo posto interessa, eccome, e non è “il primo dei perdenti”, un asserto che vale solo per un tale di nome Conte, allenatore dell’Inter, perché Gasperini manda in campo a San Siro la miglior formazione con un Caldara finalmente difensore da nazionale che stravince il duello con Ibrahimovic, come in mezzo al campo De Roon opposto a Calhanoglu e Freuler a battagliare con il rinato Kessie, certo Toloi ha faticato a contenere Rebic e infatti nel secondo tempo ha giocato un positivo Sutalo, quindi il Papu Gomez, magari non così lucido come ai bei tempi, comunque efficace e propositivo. Infine Zapata: diciotto gol e una continuità impressionante. Peccato Malinovskyi in serata no, non per il rigore fallito, pasticcione e inconcludente ma anche l’imprevisto erroraccio di Gollini. La porta sud di San Siro è stregata: tre rigori (Ilicic con lo Shakthar, Muriel con l’Inter e Malinovskyi con il Milan). La regola del fallo di mano, si sa, è assurda ma viene sempre applicata. Quasi. Se è stato calcio di rigore il fallo di braccio di De Roon e di tanti altri calciatori del campionato di serie A perché quello di Kjaer su tiro di Zapata no? Non lo sapremo mai.
Giacomo Mayer