Come vorrei che il Gas me la menasse un’altra volta, “Matte, non puoi… Ci vuol rispetto per lo spogliatoio. Sei uno zingaro, il più simpatico che conosco, ma comunque sei indecente, tu hai bisogno del collegio…”. E io gli rispondevo nel mio modo, tenero tenerissimo che pare che prenda sempre chiunque un po’ per il culo, “ci andrei, maestro, ma è impossibile. A quarant’anni i preti non ti prendono e poi siamo a novembre e le iscrizioni sono chiuse. Gas, fattene una ragione…”. E correva a tirarmi le orecchie e poi rideva, a crepapelle, che gli piangevano gli occhi, vedendo lo spogliatoio di Longuelo nel disordine più totale per via del mio passaggio, la maglia su una panca, la tuta sull’altra, i calzini spaiati, lo shampoo triste e perso, intento a buttarsi via sul pavimento delle docce, i braghini nel corridoio, le scarpe coi tacchetti lasciate accanto alla fontana. Il Gas era paterno, uno dei bomber più prolifici della storia del professionismo in Italia, stella dell’Atalanta, ma pure dell’Inter, dall’animo buono buonissimo, che mi sistemava la borsa le volte che giocavamo insieme dicendomi che era l’ultimo tentativo per trasformarmi in una persona normale. “Dai, dom, Matte, che la Giuliana ci aspetta…”. E io lo guardavo e a me Oliviero Garlini piaceva tanto, ma tanto tantissimo, che i finti seri sono il massimo dei massimi, hanno la battuta pronta che non ti aspetti, capaci che ti riescano a cambiare la giornata con tre parole. Stavamo bene insieme, come in quel film di quando ero piccolo, il sole e la luna che, a sorpresa, scoprono di adorarsi e di volerne ancora. Ci raccontavamo i nostri mondi, così lontani, lui, che il calciatore aveva iniziato a farlo da popino, lontano da casa, in un’altra città, Como, a quei tempi là un pianeta opposto a Bergamo e all’Atalanta, io, che del calcio ne scrivo, ma che me ne sono innamorato per caso, dopo mille giri, centinaia di articoli sugli alpini di Cisano Bergamasco, altrettanti sui miracoli veri e presunti in Lombardia, qualcuno sui delitti irrisolti nell’alta Val Seriana. Oliviero Garlini, bomber vero, era un bello, era un simpatico, era un buono ed era un umile, che delle sue mirabili rovesciate non parlava mai, manco un accenno, piuttosto stava a spiegarci i fondamentali a me, a Sersao, al Gigione e a Evro in quella squadra, allenata dal Nado, messa in piedi per raccogliere quattro soldi per chi stava male male. Senza risparmiarsi perché veniva dalla povertà e sapeva che nel mondo si è uomini se si aiuta l’altro in difficoltà, chi è senza un quattrino o, chi, come me, non ce la fa a raccogliere i panni sporchi dopo un allenamento. Come vorrei che il Gas me la menasse un’ultima volta, tirandomi le orecchie, in quel modo dolcissimo, uguale a quando ci trovavamo sfiniti sul piazzale del campo di Longuelo, lontani lontani dal calcio che conta, vicini vicini, nel cuore, appiccicati, “forza, Matte, hai risolto la partita, un giorno ce la farai a fare anche la borsa. Abbiamo tutto per portarla a casa sani e salvi…”.
Matteo Bonfanti
Nella foto: il Gas, che ci butta tutti giù, nella foto di squadra della Scuola Calcio Over 40 del Berghem Soccer Team