Ci sono ciclisti, sportivi, campioni. Ci sono uomini, persone. E poi ci sono – ma sono pochi – individui che sono ciclisti, sportivi, campioni, uomini, persone. Davide era uno di questi pochi. Parlava lentamente, come se le parole avessero un valore particolare e i suoi occhi azzurri le illustravano, con la trasparenza seria e onesta di chi ha solo voglia di fare bene.

Quando l’ho conosciuto era già un vincente, una settimana in rosa al Giro, San Sebastian, Zurigo, ruoli da capitano in squadre importanti, ma rimaneva in lui un tono di voce da persona che chiedeva permesso prima di entrare.

Non in gara, in gara non aveva paura, si giocava tutto, ma nelle conversazioni aveva una timidezza che non era ingenuità, era qualcosa di più bello, senso della verità.

Parlava di quel che sapeva fare, correre in bicicletta e mi domandava: “Ma se un giornalista mi nuove delle critiche ingiuste come faccio a rispondergli?” e io da giovane consulente di comunicazione gli spiegai che niente gli impediva anzi, sarebbe stato sorprendentemente protagonista se – con la sua educazione da persona davvero buona – avesse replicato il giorno dopo, parlando non ai microfoni, ma rivolgendosi direttamente a chi lo aveva biasimato.

Vinse molto, poi, ricordo il triplete del 2004 e la meraviglia di un italiano che vinceva in otto giorni tre delle gare più belle e più ambite di tutto il calendario, poi venne la brutta storia dell’OIimpiade a Pechino, ma le avversità non lo piegarono: c’è una foto sua che conservo e che illustra questo articolo, era per strada in montagna e si fermò a dare una briciola di qualche barretta a una volpe. Beh, che ci crediate o no, Davide era veramente così, un professionista della bicicletta, ma soprattutto una persona davvero speciale.

È morto ieri, a poca distanza da casa: era sulla sua bicicletta da corsa, aveva smesso con le gare ma non con la passione e un camion l’ha scaraventato a terra a un rondò.

Di Davide Rebellin rimarrà, oltre alle vittorie, alla passione, alla tenacia che ne ha fatto il professionista del ciclismo più longevo della storia, la sua umanità, quella cosa che distingue un grande uomo da un “semplice” campione.

Marco Oldrati