Migliaia di pagine sono state scritte in onore dello statista definito il “Padre della Patria” da un illustre personaggio come Giuseppe Verdi. Le traversie per giungere a numerosi successi politici, con date, nomi e cognomi di oppositori ed alleati riempiono i libri di storia. Poche pagine invece sono state dedicate alla sua gioventù aristocratica che annoverano viaggi in famose capitali europee, amicizie, rapporti epistolari, tutte cose che alla fine hanno contribuito a creare il famoso uomo politico che tutti conosciamo. Il periodo della sua fanciullezza è però oggetto di mistero per moltissimi italiani.
E’ doveroso rimarcare che il piccolo Camillo, nato il 10 agosto 1810 a Torino, non avesse ereditato il nome di un suo avo, com’era d’uso aspettarsi, bensì da un grande amico del padre: Camillo Borghese, suo padrino al battesimo, al tempo governatore della città sotto il dominio di Napoleone I.
Ma veniamo ai giorni nostri.
Recentemente mi sono recato nella capitale per adempiere ad alcune questioni riguardanti i miei libri, andando perciò alla biblioteca nazionale di Roma. Anna, l’impiegata che mi ha ricevuto, persona veramente squisita, mi prega di attendere l’espletamento delle operazioni e quindi, nel frattempo, comincio a gironzolare tra le file di scaffali pregne di sapere senza uno scopo ben preciso. D’un tratto i miei occhi cadono su di un libricino schiacciato fra due tomi voluminosi stuzzicando la mia curiosità.
Cerco di togliere il libro con delicatezza perché palese sia vecchio di almeno un secolo. Una volta levato lo stringo al petto guardandomi in giro quasi fossi un ladro che ha appena commesso un furto.
Subito ho cercato una scrivania libera e defilata per sedermi e leggere quel che sentivo fosse un reperto di rara importanza. Infatti, già dalle prime pagine, i miei sospetti si rivelarono fondati perché ho capito che tra le mie mani tenevo il diario redatto di suo pugno dal rampollo di casa Cavour.
Tra le migliaia di parole compare il nome di Michele suo padre, un nobile molto ben in vista nella società torinese, e di sua madre Adèle de Sellon, una ricca e nobile di famiglia calvinista originaria di Ginevra in Svizzera. Proseguendo avidamente nella lettura ho trovato un nome ripetuto più volte: Yussef. Costui era l’amico d’infanzia del piccolo Camillo di quattro anni più grande, arrivato dall’eritrea pochi anni prima assieme alla famiglia, servitori presso casa Cavour. Nelle pagine del diario si racconta di una moltitudine di marachelle che vede protagonisti i due amici (a quanto si legge inseparabili), alcune delle quali finite nel migliore dei modi, altre invece scoperte e conclusesi con punizioni esemplari, soprattutto per il povero Yussef.
Le vicende si susseguono ma verso la fine del libricino, quando Camillo era prossimo ad entrare nell’adolescenza, viene menzionato un episodio che toglie un velo sulle origini del casato d’appartenenza che mi preme particolarmente raccontare. Un ufficiale giudiziario, tale Jean de Lhuys con al seguito alcuni soldati francesi facente funzione anche di testimoni, per ordine imperiale dovette recarsi nelle abitazioni dei nobili della città piemontese per certificarne lo status nonché l’identità delle famiglie. Giunto ai cancelli di casa Cavour fu subito messo a conoscenza da Yussef in persona che i conti suoi padroni non fossero presenti perché partiti la mattina alla volta di Ginevra per una visita ai nonni materni. L’ufficiale fece un rapido ragionamento riguardante le tempistiche concludendo non potesse attendere il loro ritorno perché le pratiche a cui adempiere erano molte e l’inviato imperiale era stato categorico sullo sbrigarsi a concludere il lavoro assegnatogli dall’imperatore stesso. Suo malgrado si vide costretto a rivolgere alcune domande al giovane ragazzo eritreo che si mostrò impacciato già dalle prime risposte perché non molto padrone della lingua. Faticosamente, Jean de Lhuys riuscì ad ottenere quanto richiesto, restava solo un ultimo quesito.
– Orsù dimmi giovane moro: questa è la proprietà di Michele conte di Cavour? – chiese il funzionario impettito. Il ragazzotto sollevò le spalle perché non aveva una gran memoria per queste cose al che l’ufficiale, chiaramente innervosito, lo esortò a parlare così da chiudere quella dannata pratica che gli aveva rubato fin troppo tempo.
– Benso – proferì a un tratto Yussef allargando le braccia nel completo dubbio.
Senza fare una piega Jean de Lhuys annotò sulla cartella e, senza nemmeno salutare il ragazzo, girò in tacchi andandosene con il suo seguito armato. Quel giorno, grazie ad un banale malinteso, nacque ufficialmente il nome di Camillo “Benso” conte di Cavour.

Marcus Joseph Bax