C’è questo mio ragazzo che mi porta sempre il sole. Lo fa da quando è nato, in culla col sorriso e senza mai un pianto, né un minimo lamento, che pensavamo fosse sordo. Ma poi si è messo a parlare, a ridere e a scherzare, soprattutto a starmi addosso, abbracciato appiccicoso, uguale identico a un minuscolo e meraviglioso mare, caldo caldo persino nelle sere d’inverno sul divano del nostro appartamento in centro. Da bambino andava a scuola travestito, un giorno era Superman, quell’altro Batman, poi la sua nonna Valeria. E a sette anni voleva tagliarsi i capelli come li porta il nonno Erni, pelato in mezzo e con qualche ciuffetto grigio ai lati.
C’è questo mio ragazzo che ha preso l’allegria, la mia e della mia stirpe, i sogni e le conchiglie, la parte che ci dice che siamo tutti uguali e un sacco la speranza di un mondo senza limiti e confini per lui e per i moltissimi che ama.
Così ieri l’ho portato a giocare a pallone. Me lo chiedeva dall’estate, mi diceva: “Papà, il calcio un po’ mi piace, s’incontra tanta gente”. Ho scelto il Paladina, che ha il cuore dell’Egidio, unito all’eredità del Fabio, due presidenti che pensano che si vince solo quando si divertono tutti quanti, campioni e scarsoni, bianchi, gialli, neri e marroni. Lungo la strada dell’allenamento ridevamo come due matti: “Ma riuscirai a esordire in Premier League prima dell’addio di Cristiano Ronaldo?” e giù con altre cazzate, “papà, io non voglio andare in Inghilterra, punto a giocare nel Milan per fare un autogol in finale di Champions con l’Atalanta…”.
Poi siamo arrivati, si è cambiato e si è messo a correre in mezzo al gruppo dei Giovanissimi. Bene, il mio splendido ragazzo a pallone non ha mai giocato, gli altri sono da cinque anni che si trovano a far partite. Sono grandi e muscolosi, con la tattica e il tocco di palla, col dribbling stretto e il palleggio. A metà allenamento il mister è venuto a parlarmi, un uomo intelligente e dolcissimo: “E’ molto indietro rispetto agli altri, ci metterà un pochino e non dobbiamo farlo preoccupare, ma mi sembra un ragazzo per cui è più importante fare gruppo e trovare nuovi amici. Non è qui solo per giocare…”.
E io avrei voluto raccontargli l’intero immenso amore che ho per il mio Zeno, il solo sulla terra che mi porta sempre il sole.  
Matteo Bonfanti  
Nella foto io e Zeno, oggi pomeriggio, impegnati a farci improbabili selfies