Del mio primo giorno di scuola non ricordo nulla, è passato troppo tempo ed è tutto annebbiato. Forse che ero andato in Vespa, aggrappato a mio padre, con la paura addosso che non mi lasciava mai, quella di morire improvvisamente stritolato perché il sedile non era così lungo e io finivo sempre tra lui e mia sorella, uguale uguale a una sottiletta gialla della Kraft.
Ricordo invece benissimo come i miei, la professoressa Campagni e il maestro Marco, vivevano ogni anno l’inizio della scuola. Mia mamma e mio papà sono anime opposte, lei, la Vale, è il sole che ride a crepapelle i primi giorni di maggio a Bologna, sui gradini di Piazza Maggiore, lui, il Vecchio, è la notte piena di stelle lungo un silenzioso sentiero di montagna che porta nei paesini della Valtellina. Eppure a scuola erano identici, illuminati dalla luce della passione. Ci mettevano dolcezza e poesia, un impegno unico, smisurato, che io non ho, pur amando quello che mi è capitato di fare per vivere. Amavano quel giorno, che iniziavano ad aspettare due settimane prima, quando iniziavano la famosa programmazione. Si divertivano, gli piaceva confrontarsi coi colleghi inventando percorsi didattici gratificanti e divertenti. Immaginavano costantemente progetti sempre nuovi per migliorare la vita a tutti gli alunni, nessuno escluso, che si ritrovavano in classe a settembre. E poi, già a ottobre, cominciavano a portarci a casa i casi disperati, gli scolari e gli studenti a cui mancava un pezzo d’amore. Glielo davano loro, con naturalezza, senza faticare, immagino perché sentissero nel cuore che fosse parte del mestiere che adoravano, per loro un privilegio e un onore.
Per il maestro Marco e per la professoressa Campagni la scuola non era un lavoro, ma una missione in grado di rendere il mondo ancora più bello, più accogliente. Ed ogni volta che andiamo a mangiare fuori, c’è sempre l’ex alunno di turno che li va ad abbracciare, grato per averli incrociati, per aver avuto la fortuna di vivere insieme quei tempi là.
Solo questo, che i tanti insegnanti bravi bravi, proprio come lo erano Valeria e Marco, non abbiano paura di essere così, importanti, forti, spensierati, speciali.
Matteo Bonfanti
Nelle foto: una giovane professoressa Campagni, mia mamma, con mia sorella Chiara, ormai tanti anni fa