Arturo era un uomo distaccato dalla realtà: viveva in un mondo tutto suo e per questo sembrava uno sociopatico, nonché per il modo strambo di abbigliarsi. Svolgeva un lavoro poco remunerativo e avaro di soddisfazioni ma per lui non era fondamentale perché soltanto un mezzo di sussistenza che aveva imparato ad accettare. Quand’era in ufficio infatti riusciva a non pensare ad altro che al suo incarico, vidimando e smistando scartoffie che finivano dove non gli importava. La sua capacità di non sperperare il tempo nemmeno al lavoro era invidiabile: era plausibile pensare che, siccome secondaria, non vedesse l’ora di terminare la sua mansione per rituffarsi nel suo mondo ma così non era. Tutto nella sua vita per lui faceva cumulo, tutto faceva massa e per questo non meritava di essere sprecato. Tale capacità non era ovviamente compresa da coloro che gli ronzavano attorno avendolo catalogato già da anni come un tipo schivo, introverso e poco affabile, soprattutto dai famigliari da cui aveva deciso di allontanarsi appunto perché doloroso il fatto che proprio loro, sangue del suo sangue, non capissero chi lui fosse in realtà. Altro fatto inconsueto era il suo rapporto con l‘altro sesso da cui era piacevolmente attratto. Amava loro quanto il proprio corpo, amava toccarsi, amava godere volando con la fantasia ma sapeva perfettamente che non era questo il fine ultimo. Il piacere carnale lo riteneva necessario ma lo considerava quasi alla stregua del suo lavoro: un palliativo, un companatico, uno dei tanti elementi che servivano a definire un quadro molto più ampio. La fantasia in tutto ciò giocava un ruolo fondamentale ma col tempo si accorse che sempre più spesso era migliore della realtà. Ciò lo riteneva dannoso per la psiche perché falsava il rapporto con la concretezza. Un giorno, particolarmente depresso, stava scorrendo con svogliatezza le pagine di un social media quando gli capitò sullo schermo del computer il viso sorridente di una donna causandogli un colpo al cuore. In quell’istante nella sua mente si materializzarono due pensieri ben distinti ma fra loro inscindibili: sentiva di conoscerla ma era certo di non averla mai vista. Questa consapevolezza lo destabilizzò bloccandolo, rimanendo a guardarla per lungo tempo con le dita sui tasti del portatile. “Com’è possibile?” si chiese e finalmente giunse il momento di cliccare su quella pagina internet e leggere il leggibile, provando a capire chi lei fosse per smentire o dar valore all’una o all’altra impressione. Trattavasi di una donna in carriera, zeppa di successi lavorativi, comparsate televisive sia come opinionista che come ospite per ricevere e dare lustro a quella trasmissione. Più scorreva le pagine e più il divario tra lei e la sua umile condizione di impiegato statale si faceva grande.
“Cosa mai potrebbe trovare di interessante in un tipo come me?” si domandò come se già sentisse un legame con quella donna. Poi si scosse ridendo di sé, delle proprie fantasie, delle sciocche illusioni e così riconquistando il contatto con la realtà. Si convinse però che provare a chiederle un’amicizia virtuale non comportasse nulla di male, così cliccò sul tastino sinistro del mouse inoltrandogliela e in men che non si dica gli comparve sullo schermo la dicitura “richiesta accettata”. Rimase per del tempo a fissare quella scritta cercando un motivo per cui quella donna, talmente lontana dal suo ceto sociale, gli avesse risposto con tale celerità. Forse perché quella sensazione di conoscenza non era poi così lontana dalla realtà? Incominciò quindi a crogiolarsi in quella fantasia sorridendone timidamente, rituffandosi nelle pagine virtuali, e a disposizione di tanti, scoprendo di avere molti lati in comune con quella donna, uno su tutti l’originalità nell’abbigliamento: i colori forti, spaiati parevano essere una costante. Adesso, più curiosava e più percepiva che la distanza che lo separava dal mondo di quella donna si assottigliava, perciò rallegrandosene, trovandoci motivo di giubilo. Non trascorse molto tempo che maturò la convinzione dovesse incontrarla per testare una volta per tutte se tra loro esistesse veramente quel legame magico o se era l’ennesimo frutto della sua fervida fantasia.
“Ma come posso fare?” si domandò più volte.
Da quel giorno trascorsero mesi di commenti inconcludenti alle migliaia di post che la donna pubblicava per la gioia dei suoi numerosissimi ammiratori: Arturo era convinto che l’avrebbe colpita con parole originali, staccate dalle solite banalità quali “sei bellissima”, “sei incantevole”, “sei stupenda”, denigrandole e non considerando che quelle smancerie, anche per la donna più emancipata del mondo, sortissero un minimo di effetto gratificazione. Il tempo passò inesorabile e circa un anno dopo quella donna non gli aveva fornito alcun segno particolare perché a tutti elargiva i medesimi apprezzamenti: la stessa faccina che ride, lo stesso cuoricino o lo stesso abbraccio. Arturo non poteva continuare così altrimenti si sarebbe consumato come già anni orsono gli era successo. Decise quindi di modificare la visibilità virtuale barrando la casella “prenditi una pausa da lei”. Con l’andare del tempo le cose migliorarono decisamente: sul lavoro aveva ripreso la concentrazione persa appresso a quella donna, fatto che in precedenza gli aveva causato non pochi problemi per via delle più fantomatiche ipotesi scovate dai colleghi. Ora tutto filava per il verso giusto, tutto era tornato al suo posto perché tutti avevano ricominciato a ignorarlo. Lui però provava timore, sentiva una paura indefinita attribuendola alla consapevolezza che avrebbe potuto ricadere nell’errore e nel tormento per quella donna. Un caldo e lucente giorno, come solito fare nella pausa pranzo, stava seduto sulla panchina del parco nei pressi del luogo di lavoro addentando il suo panino con salame e formaggio quando, sul lato opposto della carreggiata, s’accorse di una donna che pareva proprio lo stesse fissando. Non impiegò molto a capire fosse lei perché l’abbigliamento era un biglietto da visita: indossava infatti una gonna lunga a balze color rosso fuoco ed una camicetta madreperla a sbuffo con un’ampia scollatura sul davanti che mostrava un raffinato reggiseno di pizzo bianco. In testa un cappellino a cloche rosso e degli occhiali neri alla gatto. Con innata eleganza abbinata a un’espressione glaciale la donna scese dal marciapiede attraversando la strada con passo deciso diretta verso di lui, incurante del traffico, delle strombazzate e dei vaffanculo degli automobilisti. Arturo deglutì il boccone come se avesse avuto in gola una pietra: il cuore cominciò a battere forte e si appoggiò stabilmente alla panchina preda di un brutto presentimento. La donna, giunta a ad un passo da lui, dalla pochette nera come le scarpe tacco dodici che indossava estrasse una Beretta puntandogliela dritta alla testa.
“Questo è l’unico modo per farla finita!” gli disse con una freddezza agghiacciante. Al che non gli concesse il tempo di chiedere spiegazioni o di spiegarsi, di offendere o difendersi, ma premette il grilletto e la testa di Arturo fu sparata all’indietro in modo innaturale. Un sussulto e niente più. Dopo un attimo vi fu un battito di ciglia ed ecco comparire il bianco candido del suo soffitto. Quindi un colpo secco di tosse, uno scatto di paura poi l’uomo si toccò la fronte sentendo non vi fosse alcun foro di proiettile. Un sospiro e si stropicciò la faccia avvertendo come la sua guancia destra fosse bitorzoluta, capendo in seguito avesse impressa la tastiera del suo computer. Al che abbassò gli occhi e vide un rivolo di bava sul pad del portatile, notando nel contempo che lo schermo fosse completamente nero. Pigiò il tasto per la riaccensione ma nulla. Allora cercò il cavo di alimentazione collegandolo al pc e alla presa di rete dopodiché ritentò l’accensione stavolta con successo. Dopo un veloce reset il computer chiese all’utente il permesso di ricaricare la pagina web che si stava consultando: Arturo rimase per qualche secondo incerto sul da farsi dopodiché premette “Yes” e comparve sullo schermo una pagina di alta moda con ragazze stupende con indosso abiti altrettanto stupendi. L’uomo tirò su col naso, scosse la testa stropicciandosi di nuovo la faccia. D’improvviso la porta della camera si aprì e comparve una figura femminile. Arturo la guardò: era lei, era ancora lei ma stavolta non ebbe paura perché quella donna gli sorrise dolcemente avvicinandosi a passi lenti per poi sedersi maliziosa sulle sue ginocchia.
“Cosa hai scritto di bello, amore mio?” gli chiese carezzandogli le labbra.
“Niente di che” rispose Arturo cingendola in vita “le solite cazzate”.

Marcus Joseph Bax