evrodi Evro Carosi*
Luigino da piccolo era stato a lungo malato. Costretto a non uscire di casa, immaginava un mondo colorato e ricco di personaggi fantastici. Quando, finalmente guarito, riuscì a scoprire ciò che fino ad allora aveva solo sognato, rimase fortemente deluso.
Dopo aver vagato per mesi, arrivò alla conclusione che sul pianeta terra governava il grigio, in tutte le tonalità, ma era pur sempre grigio. C’era chi era stanco di lavorare, chi non amava più la moglie o chi semplicemente era annoiato. Nessuno realmente felice. Era un periodo di carestia ma, secondo Luigino, questo non bastava a spiegare tanta tristezza. Chiese udienza al re, ma si sentì rispondere che fino a quando le locande fossero state piene nessuna misura straordinaria sarebbe stata adottata. Cercò aiuto agli dei, scoprendo, suo malgrado, che Eudemonia, dea della felicità, era considerata una divinità secondaria e si donava al pubblico solo raramente. Quando si chiese perché da malato era più felice dei sani, si diede la risposta: sognava tutto il giorno, anche se, soprattutto per lui, sarebbe stato davvero impossibile realizzar fantasie.
E l’idea arrivò. Aprì la scuola per aspiranti sognatori.
In un primo momento i cittadini mostrarono indifferenza. In pochi s’iscrissero, quelli già passati da tutti i corsi di danza, yoga, cucina ed uncinetto, affascinati dalla tariffa promozionale piuttosto che dalla novità.
I neodiplomati contagiarono tutti con la loro allegria. Così la pratica del sogno si diffuse rapidamente, sostituendosi presto al danaro. In banca potevi pagare la rata del mutuo raccontando come ti saresti fatto la figlia del droghiere. Al mercato comprare ciò che ti serviva illustrando un’invenzione d’impossibile realizzazione. Fino a che Luigino, nel frattempo divenuto capo spirituale del regno, s’innamorò.
Il sommo sacerdote perse la sua creatività, ostinandosi a volere Esmeralda, figlia del ciambellano di corte, solo per sé. Non ricambiato cadde nella depressione più nera e presto trasmise tristezza a tutti i concittadini. Una spessa cappa grigia si impadronì del cielo e tornò la moneta di un tempo, il Frankit, nel momento più buio sostituita da lamenti. Il desiderio di togliersi la vita era il prezzo di un’abitazione di lusso e la mania di persecuzione portava a una rendita vitalizia.
Luigino, ormai adattato alla realtà, non sognava più Esmeralda. La pretendeva. La figlia del ciambellano, invece, era innamorata e ricambiata da Astor, giovane primo cuoco del re. Il padre di Esmeralda, da buon ciambellano, si era da sempre opposto al loro amore. Per lei sognava ben altro. Inoltre, ora e a causa della figlia, era costretto a contare sfighe e maledizioni. Lui che era nato per contare i Frankit, perlomeno sognare di contarli. Al fine d’evitar la morte per tristezza, s’accordò furtivamente con Luigino e impose alla figlia di maritarsi con lui. Esmeralda, rispettosa com’era del volere paterno, obbedì.
Il povero cuoco cercò invano di ribellarsi finché, rassegnato, partì per andare lontano.
La felicità tornò a regnare in tutto il territorio, ma più passavano i giorni e più il re soffriva per aver perso il suo fido cuciniere. La fame è uno dei bisogni primari dell’uomo e, nella classifica del caso, veniva di gran lunga prima dell’amore. Visibilmente dimagrito e molto più che incazzato, il sovrano ordinò fosse sellata la bestia più veloce del regno e inviato il suo miglior cavaliere alla ricerca di Astor. Nel frattempo vennero sospesi tutti gli atti ufficiali, matrimoni compresi. Passarono mesi prima che la sagoma dei due cavalli con Astor e il cavaliere in sella si profilasse all’orizzonte. Appena giunto a corte, lo chef preparò la doppia svizzera reale, con pancetta affumicata, formaggio e cetriolini. Una volta sazio il re tornò a sorridere e ordinò di festeggiare il ritorno di Astor con danze a corte.
Esmeralda ballò tutta la sera con Luigino, suo promesso sposo. Il resto degli invitati s’abbandonò all’euforia del re, vedovo ma ancora fedele, il quale affidò a Bacco l’incarico di placare ogni sua voluttà. Intorno alla mezzanotte, il sovrano ubriaco marcio s’alzò dal trono aiutato da sette servitori e cercò, tra le tante, la più bella della sala, per donarla in danze ad Astor. Con la mano indicò proprio Esmeralda. I due ballarono guardandosi negli occhi. Lui trattenne la voglia sino al sudore. Lei vibrò come corde d’arpa pizzicate. I loro cuori si sfiorarono. Fu il silenzio. Il ballo finì. Ancora silenzio, interrotto da un rutto regale forte come un tuono che attirò l’attenzione dei presenti.
Il sovrano avrebbe voluto scendere dal palco per iniziare un discorso. Ci provò, ma resosi presto conto d’aver perso il baricentro, preferì chiamare i due ballerini che subito gli s’inchinarono innanzi, uno vicino all’altro. Il re mise le mani sulle loro teste chine. Dalla sua bocca uscirono parole incomprensibili. Non riuscì a governare la lingua. Il popolo tese le orecchie trepidante. Ruttò di nuovo, ancor più forte. Il popolo con perfetta sincronia scattò all’ indietro. Il re tacque e alzò le spalle in segno di disprezzo per i rituali. Il popolo si riavvicinò al trono per sentire meglio. Come Rocky all’ultimo round, il re raccolse le residue forze e riuscì ad aver ragione della sua lingua e pronunciò con parole chiare: “Vi dichiaro marito e moglie!”. Poi, tra ohhh di meraviglia, cadde pesante all’indietro.
Secondo la legge democratica del tempo, era possibile chiedere al re d’annullare la decisione presa da sbronzo, ma solo entro sette giorni dal pronunciamento.
Il sovrano aveva svuotato più di cento botti di vino, ma, conoscendolo, tutti pensavano si sarebbe risvegliato nel giro di una notte, al massimo due. Passarono invece sette giorni, che sorpresero Luigino e il ciambellano impegnati in vili tentativi di risvegliare il re con l’inganno, aiutati da prezzolate fatine e stregoni fatti arrivare dalle Indie. Passarono anche sette notti, che videro lacrimar le stelle, mentre i due innamorati aspettavano abbracciati il loro destino.
Quando ormai mancavano pochi granelli di sabbia all’ultimo giro di clessidra, il re, sbadigliando, aprì lentamente un occhio. Astor se ne accorse, ma non ebbe tempo per lo scoramento. Il re gli sorrise, si voltò dall’altra parte e continuò a dormire. Cadde anche l’ultimo granello. Astor ed Esmeralda sarebbero rimasti per sempre insieme.
Il re, che dalla morte della amata moglie non aveva più legiferato, si mise subito al lavoro. Non voleva esser costretto a fingere, ogni qual volta un suddito avesse tentato di realizzare un sogno con l’inganno. Convocò subito il senato, affinché studiasse una Legge per Il realizzar del sogno.
Questo accadeva più di mille anni fa. Oggi i discendenti di quei senatori stanno ancora lavorando e i giusti, stanchi d’aspettare, s’affidano alla speranza di incontrare, prima o poi, un re ubriaco.
*l’unico vero maestro rimasto in Italia nell’anno 2014 che appare nella fotina con la chitarra, strumento che suona divinamente