Ricostruisco tra una cena e l’altra il secolo infinito della mia stirpe. Preso per mano da due splendidi narratori, mio padre e mia madre, sento sulla pelle i cent’anni di solitudine della mia famiglia, le avventure geniali, tragiche e comiche di mio nonno Cesarino, arrivato in Africa come Celestino per poi mettersi alla guida di un camion che aveva a bordo due macchine di Formula Uno, l’antifascismo militante di mio nonno Riccardo, un serissimo ragioniere dal cuore grande, pronto a rischiare la sua pelle per la libertà di tutti gli altri, la speranza nel Signore e nella famiglia di mia nonna Pina durante il rosario della sera, la straripante voglia di vivere di mia nonna Chiara, una donna fortissima e inesauribile, che nella sua bottega rideva a crepapelle bevendosi una Coca Cola dietro l’altra. Io sono questo, quattro quarti, aria, acqua, fuoco e terra, stanno, opposti, racchiusi in me. E sono il sognatore visionario, ubriaco mentre canta alla luna, come l’appassionato commentatore della politica che ci gira intorno, il mistico che trova almeno un’ora al giorno per chiacchierarsela un po’ col suo personale Dio, come l’eterno ragazzo che si sveglia con addosso l’allegria e la forza dei giorni migliori senza capirne il motivo, anche perché un vero motivo non c’è. E’ tutto lì, la felicità all’improvviso, lo sconforto di certe notti, la passione delle mattine bagnate dal sole, e pure la pericolosa strada che a volte prendo e che mi porta lungo i sentieri delle mie montagne di rabbia.
E ogni volta ci sono le parole da mettere in fila su un foglio, le stesse dei due meravigliosi poeti che sono diventati i miei, Marco e Valeria, in questo momento della loro vita, la sola cosa che unisce i quattro principali accordi che stanno dentro di me. Scriveva mio nonno Riccardo, lunghi discorsi per un famoso politico di allora, scriveva mia nonna Chiara, ricordi, che non andassero in cielo con lei, scriveva mio nonno Cesare, persino una lettera d’amore a sua moglie un attimo prima di morire, e scrive lei, mia nonna Pina, mille bigliettini colorati che mi arrivano in posta, “Caro, Matteo, fai il bravo”. E vorrei risponderle: “Come posso se la fibra è la stessa e io, per raccontarla al meglio, ho bisogno di vivermela tutta?”.

Nella foto mia sorella Chiara e mio babbo, Marco, che sabato sera ho tormentato con centinaia di domande.

Matteo Bonfanti