Premetto che non sono atalantino, ma dopo vent’anni a Bergamo un po’ ci tengo. Come tutti, anche quelli che sono juventini o milanisti, se si vive qui, alla Dea viene da strizzare l’occhio, la si guarda con orgoglio, tenerezza e simpatia. Adesso ancora di più perché c’è Gasperini in panchina e i nerazzurri giocano davvero bene, ragionano, fanno possesso, comandano le operazioni contro chiunque, con le grandi o con le piccole, creano un sacco di occasioni, segnano sempre, spesso caterve di gol, e fanno tutto a mille all’ora.

Raccontato questo, mi chiedo cosa stiano vivendo i tifosi, quelli veri, non i simpatizzanti come me, che non soffro né mi mangio ogni unghia possibile quando l’avversario è in attacco e magari faccio sette-otto altre cose durante l’eccezionale rimonta contro la Roma. Io le persone che fanno parte del popolo atalantino me le sono sempre immaginate tendenti al masochismo, perché se da piccolino ti butti su una squadra che nelle annate di splendore ne vince una e quella successiva la perde, un certo amore per la sofferenza devi averlo, con quell’obbiettivo iniziale, la salvezza, che, per chi non è cattolico, è una parola tra le più sfigate dell’intero vocabolario italico.

Così prima dell’avvento del Gasp. Con Colantuono, ad esempio, con Reja, il sottile godimento che penso possa dare una gara vinta al novantesimo, giocata tutta in difesa, col portiere che fa i miracoli, l’apnea a centrocampo, una sola limpida occasione per l’attaccante solo soletto tra i giganti della difesa avversaria. Da tre stagioni l’Atalanta non è più questo, più ancora dell’impresa in Coppa Italia contro la Juventus, comunque un dominio totale, ma qualcosa di storico e che per questo fa storia a sé, ho in testa il secondo tempo giocato a Cagliari, il meraviglioso possesso sull’asse Toloi-De Roon-Freuler, le incursioni di Castagne e Hateboer, la potenza di Zapata, l’impressione di vedere i movimenti calcistici di una big senza difetti, senza paura, assolutamente conscia della propria forza. E’ vero che nel finale i sardi hanno preso una traversa, ma è stato un caso, un traversone che incappa su una crapa improvvisamente e senza avvertire nessuno. Quel che resta della giornata è una Dea che a me è sembrata un ragno con una mosca, una formazione intenta a tessere pazientemente la tela che porta ai tre punti in più in classifica.

Torno al tema iniziale e mi chiedo: come stanno vivendo questo lunghissimo momento di splendore gli storici tifosi nerazzurri? Con Gasperini il sottile godimento della partita in sofferenza si è perso. Ne soffre il popolo atalantino? Non c’è nessuno che sente un po’ di nostalgia per la Dea brutta, cattiva e a rischio Serie B?

Adesso la prospettiva è la Champions League, un punto dal Milan alla vigilia di due sfide nel fortino bergamasco, quelle con l’abbordabile Spal e lo spareggio per l’Europa che conta proprio coi rossoneri, che paiono invece l’Atalanta senza talento, ma con un sacco di voglia, dell’era pre Gasperini. Magari mi troverete esagerato, ma la Dea vista nell’ultimo mese a tratti mi ha ricordato il Barcellona di Guardiola, un tocco e via dalla difesa a Zapata, iniziando dai piedi buoni di Toloi, passando per il talento di Ilicic e Gomez, per entrare in porta col pallone. Tanta bellezza non cambierà l’animo a chi cantava con orgoglio “schefe de negot”? Come saranno i tifosi che verranno, dico quelli che si stanno appassionando adesso? Non è che il futuro esercito bergamasco sarà come quello della Juve, del Milan o dell’Inter, abituato a vincere e per questo imborghesito e pronto a fischiare se mai verrà uno 0-0 interno col Chievo o col Frosinone?

Matteo Bonfanti

FOTO MORO