E comunque ieri, che era sabato sera e avevo anche un paio di feste a cui aderire, mi sono lanciato intorno alle otto di sera in un Bergamo-Valgreghentino di un certo livello. Andata e ritorno in bicicletta per un totale netto di settantadue chilometri. Ok, ok, non da sportivo e manco con quell’idea, perché alla mia età e coi mozzi che mi fumo vado a spasso con quella elettrica, la Yellow, un mezzo abbastanza strano, dei nostri tempi fluidi, una sorta di motocarrozzina per portatori di handicap, il mio sogno fin da ragazzino, ma a due ruote e che dà un sacco meno nell’occhio. Simile, perché ci schiaccio una serie di pulsantoni e quasi va da sola. Quasi, tengo a sottolinearlo, che comunque dopo sto cinema alle due di notte un minimo di indurimento alle gambe lo avevo, ma non tutta sta roba, uguale uguale ad andare in cyclette al minimo da mia mamma, quando mi sento in colpa perché in una sola cena mi sono strafogato con le lasagne, ma pure coi tortellini e con le tagliatelle al pesto, con le polpette mettendoci di contorno l’hamburgherone ultra unto, finendo con la panna cotta, la crostata al cioccolato e il limoncello di Erni, novanta gradi imbevuti in un chilo di zucchero. Con la Yellow, la mia bigi con la carica, né sudo né dimagrisco e spesso, va detto quando vedo un ciclista onesto, finisce che ho la sigaretta in bocca e gli lancio là il mozzicone, da perfido, trattandolo senza rispetto, come mia madre quando appicca dei fuochi per sterminare le formiche nel suo giardino, qualcosa che mi urta perché io con gli esseri umani sono abbastanza buono, diciamo al sessantacinque-settanta per cento. Cattivo raramente, principalmente solo con chi fatica sui pedali. E lo giuro sui miei figli, Vinicio, sedici anni, e Ze, quattordici tondi tondi, i tesori della mia vita.
La premessa è troppo lunga, del resto è pure il mio sogno preferito, fare un libro mettendoci sostanzialmente solo un interminabile preambolo, millesettecentoventisette pagine così, alla cazzo, nel godimento di battere sui tasti, delirando sul passato, sul presente, sul futuro e su Ze Ze, il mio psicologo anziano, ormai una creatura mitica e mitologica, il mio personale Minotauro. E ci arriverò a fare un volume che è unicamente una prefazione. Non mi manca molto. Ma non sono ancora pronto, così do la notizia, perché in fondo faccio un libro all’anno, ma nel cuore resto un giornalista e mi ricordo sempre di quando il mio capo era Fabio Paravisi e io già ero come adesso, ogni volta a non arrivarne a una e lui mi diceva “quindi?” e io “quindi boh, c’è dell’arte” e lui s’incazzava. Così racconto quanto accaduto ieri notte: c’era che tornavo a casa dalla Briantea e la Yellow a Palazzago era quasi scarica, un dramma perché avrei dovuto pedalare sul serio, e cercavo un baretto per ricaricarla. Trovo questo posto, abbastanza nascosto, entro e una serie di anziani è lì a cantare, a ballare e a limonarsi duro. Felici e urlanti, fighissimi. La foto l’ho fatta, l’ho girata a tre persone care, ma non la metto, che chissà mai che i pensionati visti in azione stavano a baciarsi con una o uno a caso e finisce che li inguaio con la moglie o col marito. Evito. Dico questo, tre cosine: in bici si scoprono cose che in maghina o in treno ci sono celate dalla velocità, poi che per scappellarsi non c’è un’età, ma uno stato d’animo, quindi che baciarsi quando si ha la dentierina dev’essere molto piacevole, ma solo se si usa Kukident, che, se applicata bene, non ti fa attaccare i pezzi di cipolle e di aglio ai molari.
Matteo Bonfanti
Nella foto: io sul divano, al ritorno dal giro in bigi, sconvolto da quanto visto