Domenica mattina. E’ un attimo, la palla è lontana, il mio ragazzo si volta e cerca il mio viso tra i genitori che stanno in tribuna. Mi vede e per un secondo siamo occhi negli occhi, i miei sono azzurri, i suoi verdi, si fondono diventando una cosa sola in quell’angolo di cielo che è un campo di pallone. Un minuto dopo l’attaccante avversario ha la sfera tra i piedi, pare un esperto prestigiatore, ne scarta uno, poi un altro e corre veloce verso la porta del Ranica. Sembra fatta, ma arriva Zeno, il mio bambino ormai grande, ma che per me è sempre piccolo piccolo, e con un tackle da difensore d’altri tempi gli sradica la palla, sventando il pericolo. E di nuovo mi guarda e io gli sorrido. E lui fa lo stesso. A pranzo l’analisi: “Sei stato bravo che marcare l’undici non era facile”. Io e lui, uguali alle parole di noi due trent’anni fa.
Ne abbiamo parlato tanto in questi anni, che io il lunedì a cena ti raccontavo quello che scoprivo lungo le mie interminabili notti da cronista del calcio. Ti dicevo: “Papà, è per tutti così, anche per i campioni che giocano in Serie A. Dopo un gol segnato o dopo aver parato un rigore si cerca il proprio babbo tra la folla. Vedendolo, ci si sente a posto, pronti a far la differenza e a portare a casa la partita”. Un paio di mesi fa ero ospite alla presentazione di una squadra di qui e con me c’era Baresi, non il nostro Kaiser Franz, ma suo fratello, Beppe, ora dirigente dell’Inter. Ho scoperto che loro due sono rimasti orfani da piccoli. In una finale di Champions o nel big match per lo scudetto alzavano gli occhi al cielo, cercavano quello sguardo tra le nuvole e l’azzurro tutto intorno.
E’ tanto che non gioco, che l’ultima volta mi si è gonfiato il solito ginocchio malandato. Ed è un sacco che non ti vedo, preso dai mille casini che si vivono alla mia età, quella di mezzo, dove le strade si moltiplicano e spesso si finisce per perdersi. Solo sapessi la voglia che oggi non fosse un normale lunedì qui in ufficio, ma una domenica mattina della mitica stagione 1991-1992 sul campo dell’Aurora. A cercare i tuoi occhi celesti dopo una bella azione tutta di prima.
Matteo Bonfanti
Nella foto: il mio Zeno, col tredici, domenica finita la partita