Fossi il presidente Tavecchio e dovessi scegliere il testimonial perfetto per rappresentare nel mondo il calcio lombardo, non avrei dubbi. Chiamerei al volo al telefono Andrea Guariglia, il giocatore, tra i tanti che conosco, che più incarna il meraviglioso spirito del pallone bergamasco. Leader in campo e fuori del suo Gorle, di cui è stato addirittura il presidente e da quindici anni ne è il capitano, centrocampista di quelli che non smettono mai di correre, un po’ Kessie, un po’ Barella, per darvi un’idea del suo grande talento, esempio per i giovani che devono farsi le ossa, simpatia contagiosa, che pure quella serve tanto, perché il fubal è questo, stare insieme a ridersela, dandosi forza nei momenti difficili della vita.
Magnificamente Andrea quindi, in redazione a chiacchierare con noi di tutto, iniziando dai suoi trentacinque anni, che a vederlo paiono venti. E iniziamo la nostra intervista al nostro calciatore preferito partendo proprio da qui.
Andre, come fai a essere ancora così in forma? Qual è il tuo segreto? “Intanto ogni giorno vado a correre, molto perché lo sport mi piace un sacco, ma anche perché sono abbastanza un maniaco della forma. Mi piace avere un fisico perfetto, poi ho anche chi mi aiuta ad allenarmi nel modo giusto. Ho la fortuna di giocare col Giambe (il difensore Tommaso Giambellini, ndr), che di lavoro fa il preparatore atletico. Lui mi spiega come fare. In ultimo, non certo per importanza, l’alimentazione”.
Cosa mangia uno come te, che in partita corre a perdifiato per 94 minuti senza mai una pausa per poi tirare e segnare un rigore a tempo scaduto? “Riso in bianco, bresaola, petto di pollo, mandorle, tanta insalata e qualsiasi tipo di verdura, che contiene le fibre, che prevengono gli infortuni. Mangiare in modo sano e leggero aiuta, soprattutto quando passano gli anni. Io quest’anno ne faccio trentasei, che iniziano a essere tantini. Devo  stare attenti a tutto”.
Anche alla televisione… “Certo. Io tengo al Milan e mi guardo tutte le partite. Penso che nel mio ruolo sia Kessie che Bennacer siano tra i migliori interpreti in Italia. Tatticamente Pioli ha fatto un lavoro straordinario. Riescono a trovarsi sempre sulla linea del pallone. Ma mi piace anche guardare le partite dell’Inter, credo che Barella sia un giocatore favoloso, un fuoriclasse per come gioca in mediana, per come riesce ogni volta a recuperare il pallone e a far ripartire l’azione. Poi la Juventus con Cristiano Ronaldo, che, diversamente da me, gioca in attacco, ma che è l’esempio di come deve essere uno sportivo, con quella cura per continuare a migliorarsi anche a trentasei anni, per essere sempre il migliore nonostante l’età che passa e che comunque si sente”.
Non si smette mai di imparare, viene da dire… “Sì, io penso che un giocatore debba tendere a quello, al miglioramento del suo gioco. Tanto fanno i mister, il mio attuale allenatore, Giovanni Ferraris, è tra i più bravi che ho mai avuto. Ci spiega ogni movimento che facciamo, li registra e ce li fa vedere e rivedere, correggendoci quando sbagliamo. Non lascia mai nulla di intentato. Mi immagino somigli tanto a quello che ha fatto in questi mesi Pioli al Milan, trasformando la squadra, con un lavoro quasi maniacale, sia dal punto di vista tattico che riguardo alla preparazione fisica”.
Calcio fermo da mesi, come vedi il ritorno al pallone nella Bergamasca? “Come tutti… La vedo un po’ grigia. Io, personalmente, avrei vaccinato prima i giovani, perché sono loro che vanno in giro, soprattutto per lavoro, e che possono contagiare il resto della popolazione. Una scelta del genere avrebbe fatto ripartire un po’ tutto, l’economia, ma anche il pallone”.
Ti manca giocare? “Tantissimo, ovviamente. Mi manca tutto, i compagni, che sono amici fraterni, ma pure il mister, lo staff e i dirigenti, che dopo tanti anni sono diventati la mia famiglia. Poi anche i compagni più giovani, i consigli che mi chiedono, le parole che mi dicono, correre al campo per l’allenamento, trovarsi a fare l’aperitivo dopo una bella vittoria, le pizzate insieme. Giocare a calcio è stupendo, perché si vive un’esperienza di gruppo e non ci si sente mai soli”.
A Bergamo ci si divide sulla vicenda Papu Gomez. Chi più di te, capitano del Gorle da quindici stagioni, può dire la sua? “Non me ne vogliano gli atalantini, ma io penso che privarsene sia stato un errore. Perché un capitano è quello che tiene insieme uno spogliatoio, che tira il gruppo durante gli allenamenti, che in partita pungola chi ne ha bisogno, che ride e che scherza con i giocatori che per dare il meglio hanno bisogno di quello, che segue i giovani che, spesso, hanno bisogno di essere seguiti perché magari stanno in panchina. L’importanza non è solo in campo, un leader migliora la squadra anche col suo comportamento fuori dal rettangolo di gioco. Senza è più difficile. Penso a me l’anno scorso con El (Gningue, fenomeno ora passato alla Gavarnese ndr), un ragazzo eccezionale, dal carattere bellissimo, fortissimo e in gamba, ma che, quando giocavamo, aveva bisogno delle mie parole, della scossa…”.
Un cuore gigante, ma pure una simpatia contagiosa, così, chiudiamo la nostra piccola intervista alla bandiera del Gorle chiedendogli chi sia stato nella sua bellissima carriera l’avversario più difficile da affrontare… “Domanda a cui rispondo al volo perché è facilissima, mio fratello Nicola. Da piccoli ci davamo un sacco di botte…”.
Lasciamo andare Andrea dopo mille altri racconti sulla sua bellissima carriera. E parlare con lui ci mette felicità, perché ha parole di gratitudine per tutte le persone che lo hanno incontrato, da compagni o da avversari, in questo magnifico viaggio che è il calcio e che pure a noi manca da matti. 
Matteo Bonfanti