Del Mussi ne ho già scritto, il giorno che ci ha lasciato, il primo novembre, nell’alba mesta e piovosa di un mercoledì di festa in cui nel nostro borgo non c’era proprio niente da festeggiare perché avevamo appena perso uno in gamba, di cuore, sveglio e sensibile, accogliente e intelligente. Questo pomeriggio al suo funerale c’era il sole, ma l’acqua era la stessa di quarantotto ore fa, un’altra volta bagnati, oggi per via delle lacrime dei tantissimi presenti, un fiume di persone bergamasche che lo conoscevano e che lo andavano a trovare al tre di via Santa Caterina, l’indirizzo del Bicerì, il suo bar, ora chiuso per lutto, uno dei ritrovi preferiti di chi, come me, ama andare a letto dopo essersi bevuto un bicchiere di quelli buoni e dopo aver fatto due chiacchiere di quelle giuste con uno che ne sa dell’argomento più figo al mondo, il pallone e i suoi mille misteri correlati.
Questo resta in un pomeriggio di ordinario pianto collettivo, l’immensa commozione dei presenti all’addio all’amatissimo titolare di un locale che in questi sei anni, l’inaugurazione era stata infatti il primo dicembre del 2017, è diventato il luogo del primo e dell’ultimo cicchetto dei tifosi dell’Atalanta, di chi gioca nei Dilettanti o negli Over 40, di noi che ne scriviamo, di chi mercoledì si laurea, di chi domenica si sposa e ha l’ultima sera in cui sbaraccare, di chi ha un mini stacco dal lavoro per tirarsi su e di chi è andato a camminare in Città Alta e ha bisogno di dimenticarsi al volo la faticaccia appena fatta.
Così oggi nella chiesa di Borgo Santa Caterina c’eravamo tutti, ma tutti tutti, mai visti così tanti, giovani, vecchi, di mezza età, ragazze e ragazzini, donne e uomini, atalantini sfegatati e giovani infighettati, di cento mondi lontanissimi e collegati, anche io, il Vestaglietta, pur preso dagli affanni del fine settimana in Serie A. Ero qui in redazione, “vado o non vado?”. Poi ho pensato “troppo importante esserci per non sentirsi soli”, perché del Mussi, al secolo Massimo Zanelli, 45 anni, sentiremo un sacco la mancanza.
Ci mancherà la sua competenza, il bianco da abbinare a una giornata di lavoro o il rosso per far casino perché domani si sta a riposare. Ci mancherà la tennentsina a tre euro per noi aficionados. Ci mancherà il caffè triplo in tazza grande per salvarci dalle pieghe storte di certi mattini. Ci mancherà la fidaty card da caffeinomani duri e puri. Ci mancherà la battuta improvvisa e inaspettata mentre lo vedevi serio che più serio non si può, intento a ordinare whisky e champagne a un’azienda di Albino o a una distilleria che sta a Oltressenda. Ci mancheranno le polpettine della nonna a corredo del Negroni. Ci mancheranno, soprattutto, quella dozzina di parole, “se hai ancora fame, dimmelo che ti porto qualche altra cosina da stuzzicare”, una frase che pare qualcosa di scontato, ma che, invece, fa l’intera differenza del mondo per chi è lì a bere, a rilassarsi e a guardarsi negli occhi con i suoi soliti tre vecchi amici, per sentirsi fuori, ma a casa, fuori e a casa, lo ripeto, insomma accolto. Ci mancherà vederlo col suo bimbo, Gabriele, saltare abbracciati fitti, dentro un bar che in un solo istante e magicamente si trasformava in un castello delle favole e metteva voglia di aprire le braccia e di cantare.
Ecco, questo era l’uomo, uno che naturalmente e normalmente si prendeva cura di chi gli era accanto, i suoi clienti, che ormai sono miei soci, e i suoi dipendenti, che io adoro, e i suoi famigliari, che non conosco. E a questo si devono i nostri occhi lucidi, moltissimi, migliaia di coppie di occhi un attimo fa al suo funerale, che si è concluso come avrebbe voluto lui, uguale a certe notti fuori dal suo bar, i fumogeni tutti intorno, lo striscione degli ultrà, “adesso ogni gin tonic sarà in tuo onore, ciao Mussi, per sempre nel nostro cuore”, le voci, le chiacchiere e i Coldplay in sottofondo. “Viva la vida”, Mussi, ancora grazie e perdona le lacrime, che al tuo Bicerì si rideva e basta e ancora sarà così, sempre e per sempre, è una promessa.