E così alla fine Mao ci è riuscito, se ne è andato per sempre, soffocando una volta per tutte quel costante senso di dolore che aveva in mezzo al petto. Ce l’ha chi è troppo sensibile, ce l’ha addosso l’intera mia generazione, che, nel triangolo tra Lecco, Oggiono e Merate, Mauricio l’ha amato follemente e così a lungo. Questa mattina eravamo a Galbiate, molti, anzi tantissimissimi, fuori dalla chiesa di un paese fondamentale per capire quello che siamo ora e quello che siamo stati da ragazzi noi che siamo nati negli anni settanta con i banchi di nebbia intorno. Lì, lungo la strada tra il parchetto e l’autostazione, e poi, appena dopo, giusto un pochino sopra, all’Eremo, è iniziata la nostra folle corsa al rifiuto del mondo che i grandi ci avevano preparato. I ragazzi non piangono mai, in Brianza non si può, bisogna lavurà e lavurà per prendere la Punto e fare il mutuo per l’appartamento in centro, eppure al ristorante del Monte Barro poteva anche capitare di farsi due lacrime, Tazzi e Mao, Mao e Tazzi, così diversi eppure perfettamente indivisibili al tramonto, una spalla ce l’avevano per ogni occasione. Quindi giovanissimi, forse più di tutto, se uno di noi non aveva ancora trovato il suo sentiero, eccoli, ancora loro due, Tazzi e Mao, Mao e Tazzi, e Sara finiva a fare i caffé al bancone, Gloria serviva, Fabri cucinava e Teti faceva il dj. Tazzi con la dolcezza, Mao con le battute, imbarcando cuori, facendoli sentire in pari, tenendo la gente a dormire e a chiacchierare fino al mattino. Occhi stanchi e sguardi lucidi perché Mauricio non c’è più ed era giovane e bello, nemmeno cinquant’anni, accogliente, e, certo, ci mancherà. Ma anche ricordarlo per com’era ieri, le risate durante le immancabili mattate, l’ultima un mese e mezzo fa, che eravamo io, Vito, Dritto e Nic e ci tirava matti abbracciandoci e baciandoci in una serata di festa piena di stelle, ma senza la luna, tanto tanto, per me, la prima follia insieme, davvero incredibile, vent’anni fa quando stava per riuscire a fare il colpo del secolo, portare via da Lallio la pentola d’oro dell’Agnelli, allora il mio editore. Mao rideva, tanto, Mao esagerava, troppo, perché era buono e generoso e da noi si può farlo vedere quell’attimino, ma giusto se si è sballati. Questa mattina eravamo in trecento e somigliavamo tutti a lui, sconvolti, comici, poetici, spaventati e guerrieri. Che la sua morte sia una sveglia per la mia generazione, che ci porti a iniziare a rivendicare la nostra sensibilità, insomma il mondo che vogliamo, umano e senza pretese, senza il bisogno di ucciderci. 
Matteo Bonfanti