Fisico e politico, come tutti, come il primo verso di una bellissima canzone, e allora questa mattina mi sono alzato abbastanza presto, tipo alle dieci, dopo un’oretta a vedermi in tv la Canalis, sogno adolescenziale perennemente in forma nonostante il tempo che passa, lei, Eli, Elisa, Betta, Elisabetta, la tipa di Vieri, del bomberone, che sull’Otto faceva la classifica delle donne che ne hanno sposati un sacco. Finito il programma, che non ho tanto seguito perché dormicchiavo, sono sceso e ho bevuto il mio caffè doppio dalla Giuli, pronto per farmi un giro in giro. Speravo che questa cosa brutta brutta fosse finita, ero allegro, ubriaco senza avere bevuto, insomma pieno di grazia, ballando sulle punte nonostante l’ennesimo crac del mio ginocchio, di nuovo gonfio per via del martedì sera passato al calcio, al campo a sette di Orioland, coi soliti tredici bellissimi soci che mi è capitato di avere in dote due volte la settimana.
Oggi, 11 febbraio 2022, una giornata storica, da segnare sul calendario, il primo giorno senza l’obbligo di mettere la mascherina in strada, decreto governativo che a me ha fatto vivere tre anni con l’ansia addosso, che non ho visto le bocche di nessuno mai, pagandone conseguenze incredibili perché avevo un paio di mostri intorno, ma di cui vedevo solo gli occhi, un solo pezzetto mentre col resto mi inchiappettavano a destra e a sinistra, insomma a sangue. Ma non è questo, gente squallida ne abbiamo tutti attorno dall’inizio dei tempi, dall’australopiteco in poi, in caverna a fare traffici, in direzione ostinata e contraria al benessere del gruppo, del resto il cinquanta vale, l’altro va cercato tra i porci, tra i ruffiani e tra quelli che rubano un salario, è la storia del mondo, ed è solo colpa mia se me ne sono imbattuto e sarei banale a raccontarne, dicendone nomi e cognomi, fatti e misfatti.
L’argomento del mio scritto è il covid, anche se vorrei fosse l’ultima volta che ne parlo. Pensavo che oggi lungo la mia via, quella che sta proprio nel mezzo del Borgo di Santa Caterina, ci fosse una festa, col sindaco, il famoso e brillante Gori, che, finalmente, ci abbraccia tutti, con le persone che vanno a fare la spesa all’Esselunga e coi sacchi tornano finalmente a tirarmi due balle sull’Atalanta che la prossima ce l’ha con la Juventus ed è decisiva, da concentrarci di brutto, insieme, con quel che porta il nostro amore nei cuori di Freuler, di Pasalic e degli altri.
Invece i bergamaschi erano ancora mascherati, tristi, solitari e finali, spaventati, muti e lontani. E allora io mi sono chiesto: torneremo mai a sentirci liberi? Forse sì, ma serviranno degli anni perché siamo scioccati a morte e non basta un giro di giostra in parlamento. Più dei lutti, più ancora del dolore, il coronavirus ha aumentato le distanze. Ma ora, passato questo casino, fermiamoci e decidiamo di ripartire come prima, perché è venuto il tempo di riprenderci i nostri sorrisi, l’aperitivo delle sei e la felicità delle parole che abbiamo addosso mentre ci guardiamo. Io ne ho bisogno, perché per me sono le tre cose più importanti, le sole che mi fanno capire chi è nel bene e chi, invece, sta nel male e che devo lasciare andare al più presto.
Matteo Bonfanti
Nella foto: in strada, appena fuori dalla redazione, senza mascherina