In un Paese normale “Bella Ciao” non si silenzia, ma la si canta in ogni dove, la si fa diventare immediatamente l’inno nazionale. Perché gli abitanti di un Paese normale conoscono la storia e i suoi confini e sanno a memoria le volte che la loro Patria ha dato il meglio di sé. Così i cittadini celebrano il passato, sia i mattini di pioggia che le giornate di sole, scendendo in piazza con le bandiere arcobaleno. In un Paese normale ci si vanta dei propri eroi, ragazze e ragazzi saliti sulle montagne per combattere la furia assassina di uomini che si erano piano piano trasformati in bestie feroci prive di un cuore. Moltissimi sono morti. Tutti hanno rinunciato a qualcosa. Persino all’amore, al proprio bello, alla propria bella, magari dicendogli solo un ciao, per qualcosa di immenso e normale, perché noi, i loro nipoti, fossimo liberi e uguali, in pace, con gli stessi diritti e i medesimi doveri. In un Paese normale il sacrificio dei partigiani è una festa, la più importante che c’è, più del Natale e della Pasqua, perché si chiama Liberazione, una parola che solo a sentirla fa venire voglia di essere una persona migliore, senza paura, priva di costrizioni, aperta, pronta a qualsiasi nuovo destino, nel mondo, sorridendo. Un Paese normale ripudia la guerra e, per questo, i suoi governanti non aiutano chi qui ed ora sta sterminando un intero popolo o è complice di chi vuole un altro olocausto. In un Paese normale non si comprano né si vendono armi e il premier di un Paese normale non va a trovare un collega guerrafondaio, se proprio gli mette dei dazi, sicuramente non gli parla, ma manco di striscio, nemmeno al telefono. Ed un Paese normale è bellissimo se ha innanzitutto due cose, il 25 aprile e “Bella ciao”.
Matteo Bonfanti
Nella foto: io, piccolo, e la mia mamma, la Vale, a un 25 aprile di tanti anni fa