Nata in una famiglia che il calcio lo evita e non tifa nessuna squadra, una family con un passato calcistico sempre e solo molto amatoriale, quel calcio inteso giusto solo come passatempo e divertimento, partitelle tra amici e tifoseria leggera che poi crescendo sfuma, in questo quadro emerge lei, bambina dinamica, esplosiva, caparbia, la calciatrice. Dopo qualche tentativo di depistaggio, la family si arrende all’evidenza e a 7 anni si inizia la vita da squadra. Eccola con la divisa, il borsone e il suo pallone che lava e porta a dormire col pigiama la sera, eccola piena di entusiasmo disposta anche a lasciar correre le solite battute… ma sei maschio o femmina? Con quei capelli corti… non si capisce… ma lei è oltre. Si arrabbia e poi è oltre.
Allenamenti, partite, osservo la sua tenacia, il suo gioco dinamico ma sempre pulito e garbato e mi dico che è il suo sport, lo adora e ci mette davvero tanta passione. Dopo tre mesi di partite, tornei e molte sconfitte, accettate sempre con stile da parte di tutta la squadra, mi dico che, non solo è il suo gioco, ma ha anche trovato la società giusta, si divertono, imparano, migliorano e sanno perdere e non è poco perché a vincere siamo tutti bravi ma a perdere si fa sempre un po’ fatica. Dopo tre mesi di allenamenti un nuovo torneo. Gioca con i più piccoli per questa volta perché sono in pochi e senza lei rischiano di saltare il torneo, le dispiace, vorrebbe stare coi suoi soliti compagni ma capisce lo spirito della collaborazione e accetta. Ce la mette tutta in ogni partita, sempre attenta, di corsa sulla palla, leale e con quella sua energia inarrestabile, senza paura su ogni azione, contrasto, pallone. La nota anche uno di quelli che girano a cercar talenti ma non glielo diciamo che non si monti la testa, che non si illuda per nulla, che non smetta di far fatica, perché la passione è fatica. Andiamo a pranzo. La sua squadra è arrivata ultima, lei coi suoi 4 goal ha provato fino all’ultimo a farcela ma poi, come sempre sorridente, ha accettato la sconfitta. E’ lì che mangia coi suoi compagni di squadra, chiacchierano, sorridono e commentano le cappellate, gli errori e le imprese riuscite, con addosso la loro medaglia di consolazione, e se la rigirano al collo con orgoglio e ammirazione. Siamo pronti ad andar via ma ci dicono di fermarci che la vogliono premiare come miglior giocatrice.
Accidenti che emozione!! La guardo dagli spalti e so che lei è in imbarazzo, si sente strana e non sa che dire e mentre la guardo con la coppa in mano tutta gioiosa, ecco il commento sgradito di un dirigente o allenatore o genitore, in-tuta-di società, di un’altra squadra: “Ma dai… Sono arrivati ultimi e gli danno la coppa miglior giocatore!!”. Ma è uno o forse saranno due, tre, gli altri applaudono e le gridano BRAVA!!!
E mi ridico: ho scelto la società giusta perché lei oggi ha in mano la coppa ma tante e tante volte ha perso e sempre col sorriso.
Non avrei mai scritto questo articolo per raccontare della coppa, non me lo sarei mai sognata, è l’amarezza di quella frase sgradita che racconto, perché questi sono gli adulti che dovrebbero insegnare ai nostri piccoli che lo sport è soprattutto passione e amore, ora di fronte ad una bimba che magari ha in mano una coppa che sarà l’unica della sua vita. Come si possono fare certi commenti? E mi dico che poi non possiamo stupirci di certe bruttezze che il calcio italiano si porta appresso.
Dedicato quindi a tutti i bambini: “Forza campioni giocate con amore!!”.
Romina Marra