Così alla fine mi sono commosso. Era ieri, eravamo sul Serio, in quell’angolo meraviglioso che è Pradalunga, in mezzo a quel gioiello solo nostro che è la Val Seriana. Ho pianto cinque minuti, ricordando il ragazzo che ero.
Non so se chi mi legge abbia mai ascoltato i Nomadi, io ne ho sentito uno degli ultimi concerti. E ci tengo a dirvi che quando è morto Augusto avevo appena quindici anni ed ero disperato come un bambino alla prima sbucciata. E’ stata una delle poche volte che mi sono sentito perso, senza più qualcuno che mi dava la mano, perché Daolio non era solo un cantante dalla voce straordinaria, era anche un uomo immenso, col pugno chiuso, ogni volta a spendersi per la pace e per un minimo di giustizia sociale in questa Italia di destra e terribilmente maldestra.
Stava a cantare, ma non come questi di adesso per la fama e per i soldi, per un’altra ragione, che tutti avessero la possibilità di vivere il proprio credo, i propri sogni, insomma che davvero iniziasse a esserci la libertà anche nel nostro Paese e che fosse piena piena come la luna, per i buoni e per i cattivi, per i ricchi e per noi che fatichiamo ad arrivare alla fine del mese. Con Augusto è finita un’epoca, la splendida idea che l’artista nasce, cresce e poi sta al mondo per mettersi al servizio del suo popolo. E che decide di stare su un palco a sudare per fare arrivare la sua gente subito a un mondo migliore, che, non ce ne sono di balle, è quando non ci sono più i poveri a crepare di fame e manco i razzistoni a menare il torrone.
Un compagno. Come lo sono io, che però non sono un artista, sono un uomo come tanti, ma con un sacco di valori, uguale a voi che dite a questi qua come Potete Giudicar, come Potete Condannar, sono come ogni Vagabondo coccolato dalla nostra madre terra.
Così ieri, lontano da tutti i miei, che sono giovani e non sanno neppure una canzone e se ne stavano beati al fresco del fiume. Ed ero su una panchina accanto a un signore dell’età di mio babbo e di mia mamma e che cantava sottovoce. Ascoltavo questo gruppo, gli Animanti, davvero ispirati, super, poetici, pur che io da cantautore non è che apprezzi mai fino in fondo chi fa delle cover perché penso “sei così bravo a suonare, mettici del tuo, ripeterla non serve”.
Va beh, nonostante questo, a un certo punto gli Animanti hanno attaccato a cantare Contro, la prima traccia di uno dei cd che più ho amato in vita mia. E’ del 1993, contiene le ultime incisioni di Augusto. La voce è diversa dal solito, è sottile e morente, è quasi un testamento.
Il cantante della cover band ha alzato il pugno chiuso al cielo e alle stelle e ha iniziato meravigliosamente a dichiarare con le parole e con le note di essere contro i massacri in Palestina, contro la folle destra in Italia, contro il razzismo di ogni tipo, contro le sanzioni che hanno ridotto Cuba allo stremo, contro l’America che si arma sempre di più, contro i padroni che tolgono diritti acquisiti ai loro lavoratori.
Sono passati trent’anni. E’ tutto identico. Forse peggio. Solo non c’è più Augusto. E manco più un cantante famoso che decida di battersi per noi. E forse, senza saperlo, ho pianto anche per questo.
Matteo Bonfanti