Calvenzano – Il mondo della cooperazione sociale ha una sua capitale in Italia e senza dubbio si può affermare che si trova nella Bassa Bergamasca e più precisamente a Calvenzano. Scorrendo le pubblicazioni e la storia della Cooperativa Agricola si può davvero toccare con mano una pagina viva della nostra civiltà contadina, fatta di sacrificio e di lungimiranza, difficile da riscontrare anche al giorno d’oggi. Il mondo cooperativo, nato in Inghilterra nel 1844 con la prima cooperativa di Rochdale (Manchester) si è sviluppato alla fine dell’800 creando un fermento di attività e di sviluppo sostenibile a cavallo tra la rivoluzione industriale ed i tempi moderni. La Cooperativa Agricola di Calvenzano in questo panorama si distinse da subito, da quel lontano 18 dicembre 1887, per capacità di innovare e di sostenere i propri associati al di là del corporativismo, diventando oggi una delle più longeve (terza a livello nazionale per data di fondazione e con numero di iscrizione 1 alla Camera di Commercio di Bergamo) ma anche europeo. Per conoscere meglio questa realtà abbiamo visitato la storica sede di Via Paglia, collocata nel cuore del paese. Da subito abbiamo avuto la sensazione di immergerci nel passato, dove i locali “trasudano” di storia, ricca di episodi di vita vissuta, riunioni, discussioni, progetti ed idee che il tempo ha trasformato in una realtà consolidata sul territorio. Con il Presidente Franco Mapelli abbiamo potuto raccogliere alcune importanti riflessioni.
Presidente, la Cooperativa compie 135 anni! Guardandosi indietro di strada ne è stata percorsa tanta. Quali le sue emozioni ed impressioni?
“Ritengo che non si possa pensare, valutare, programmare il futuro senza guardare quello che era ed ha rappresentato nella società una cooperativa come la nostra. Pensiamo a questo: nel 1887 un gruppo di agricoltori, e non solo, per “sganciarsi” da quella che era una forma di sudditanza al latifondismo, alle grandi proprietà, ha avuto la forza di aggregarsi, di inventare un processo di trasformazione e diventare imprenditori agricoli. Se noi guardiamo alle difficoltà di quel momento credo che su quell’esempio possiamo anche progettare un futuro”.
Ci descriva l’attuale perimetro della Cooperativa. Su quanti soci potete contare e quali attività contraddistinguono il vostro sodalizio?
“Oggi questa cooperativa, che nel percorso dal 1887 ai giorni nostri ha saputo adeguarsi a quelli che erano i bisogni dei propri soci (pensiamo alle cooperative di consumo, a forme di assicurazione per il bestiame, ai servizi di sostituzione per aiutarsi l’un l’altro) credo sia in grado di dare un grande esempio: dobbiamo cercare di riscoprire quali sono i nuovi bisogni dei soci e secondo me oggi più che mai il socio deve riscoprire la propria mutualità ed il proprio essere “assieme” agli altri. Viviamo in un momento in cui l’individualismo, la prepotenza dell’essere predominante la fanno da padrone pertanto credo che la forma cooperativa, la mutualità il sentirsi con gli altri ad affrontare i problemi sia la forma più idonea, una nuova formula, perché si possa combattere l’individualismo”.
Il “sistema agricolo” nei nostri territori rappresenta ancora un elemento caratterizzante dell’economia. Il corporativismo, nel 2022, è ancora uno strumento di traino dei soci? Come si è evoluto negli ultimi anni?
“Se ragioniamo come “sistema” osserviamo che l’agricoltura, pur rappresentando l’1 o 2% delle attività a livello regionale, integrata con tutte le altre attività della filiera può raggiungere e superare anche il 30%. Senza l’agricoltura la Same Trattori, per esempio, scomparirebbe; senza l’agricoltura scomparirebbero i banchi alimentari dei supermercati come li vediamo adesso. L’agricoltura è sempre stata un’attività primaria, forse bisognerebbe ritornare a considerarla tale!”.
La crisi economica derivante prima dalla pandemia ed ora dalla guerra russo-ucraina ha ulteriormente aggravato una situazione già in parte compromessa sul piano strettamente produttivo. Quale secondo Lei è la ricetta, per il settore agro-alimentare, per uscire da questa situazione?
“In questo momento si sta discutendo su come raggiungere l’obiettivo dell’autosufficienza. Se teniamo conto che la globalizzazione, per me è finita così come era stata pensata, L’idea che “mi manca un prodotto lo compro da un’altra parte e faccio accordi” forse non è più una applicabile nell’attuale scenario. L’Italia non è autosufficiente nel produrre il suo fabbisogno e quindi bisogna ripensare il modello produttivo ed iniziare a pianificare ed organizzare forme di produzione che possano ridurre la curva del bisogno dipendente dall’esterno. Pensiamo al solo settore lattiero-caseario: siamo autosufficienti solo fino al 60% quindi con carenze produttive importanti. Un piano di sviluppo rurale così come lo ha pensato la Comunità Europea va dunque, a mio giudizio, ripensato e gestito in modo diverso. Basti pensare che la Lombardia ha una produzione di circa 12 miliardi, ne esporta 6 e ne importa 7. È evidente che dobbiamo ripensare il modello agricolo, tenendo conto della visione green che sta venendo avanti e di cui condivido alcuni aspetti, ma che però deve pensare alla necessità dei fabbisogni locali”.
Anche nel recente festeggiamento del centenario della Latteria Sociale di Calvenzano (n.d.r.: di cui la Cooperativa è socia) da più parti è stato lanciato un grido d’allarme su temi come il costo dell’energia e la ricerca di nuove risorse umane, soprattutto giovani, da inserire nel mondo del lavoro. Ritiene che si possa risalire la china con una ricetta valida per tutte le stagioni come il cooperativismo e la mutualità sociale?
“Secondo me è uno degli aspetti più resilienti a quelli che sono i contraccolpi di un modello produttivo che, come detto, ha presentato alcune lacune. La forma cooperativa a nostro giudizio può rispondere meglio alle esigenze di una moderna società. Sembra un controsenso però la mutualità, il condividere alcuni aspetti della vita, il fatto che una società di uomini rispetto ad una società di capitali tiene più presente le necessità della persona più che quelle del profitto. Cooperative di lavoro, cooperative edilizie, cooperative di consumo: le forme sono tante ma a mio giudizio andranno rivisitate in chiave più attuale ed è quello che ci poniamo come obiettivo nella prossima assemblea sociale che si svolgerà il 14 maggio”.
In tal senso, i due anni di pandemia ci hanno fatto tornare a valori come la solidarietà e la prossimità. Voi poi che producete a chilometro zero sapete benissimo da tempo l’importanza di tali valori.
“La pandemia è un segnale di quello che potrebbe succedere del futuro. In questi giorni ho partecipato ad un convegno al Politecnico di Milano nel quale è emerso che nel ciclo produttivo l’uomo sta diventando un “fattore” della produzione e non il “gestore” della produzione. Se pensiamo a questo gli spunti di riflessione sono enormi e ci preoccupa molto, soprattutto il messaggio che passa ovvero la spersonalizzazione di quella che è l’autodeterminazione di un soggetto come persona umana”.
Tornando all’anniversario di fondazione, quali iniziative avete in programma per sottolineare questo importante traguardo?
“Intendiamo portare in Assemblea un programma di sviluppo e di ammodernamento della nostra cooperativa. Una cooperativa che affronta i nuovi bisogni rilancia il modello cooperativo puntando sui giovani, sulle nuove start-up accompagnando le persone ad affrontare il modello produttivo. Abbiamo recentemente incontrato la Preside della Scuola Agraria di Treviglio ed ho scoperto con sorpresa la presenza in quell’Istituto di una quindicina di ragazzi di Calvenzano. Noi valuteremo e proporremo la possibilità di lanciare delle start-up, accompagnando questi giovani, concedendo degli spazi sui terreni di nostra proprietà, affidando delle “cellule produttive”, sostenendoli con le giuste tecnologie ed iniziando un percorso professionale all’interno di un sistema produttivo, anche attraverso dei canali di vendita”.
Vivere un’esperienza unificante come quella della Cooperativa Agricola lancia un ponte tra un passato glorioso e la speranza verso un futuro oggi non roseo, ma le scelte di chi vive il territorio quotidianamente, come qui a Calvenzano ben sanno, offre una prospettiva anche per le giovani generazioni, come abbiamo sentito, dando certezze e supporto difficilmente riscontrabile in altre realtà.
Giuseppe De Carli