Quando ero piccolo, lontano lontano da questa sera che nella mia nuova città la neve va e viene, andavo sempre in via Bicocca, che era una stradina minuscola. In quella viuzza stretta stretta non potevano passarci manco le macchine tipo la mia, la Pandona Aranciona a Metano, che è talmente piccola, che, se adesso mi concentro tanto tanto e la rimpicciolisco, la metto nella tasca della mia giacca di velluto, quella marrone e a strisce, che in questa notte fredda come il cucco sta nel mio armadio ed è l’ultimo e meraviglioso regalo che mi ha fatto lo zio Carlo un attimo prima di andare in paradiso per vedere la sera il Milan contro l’Inter senza dovere troppo faticare.
Quella stradina, appunto via Bicocca, sta in alto e a sinistra del mio cuore, esattamente tra l’universo e la mia anima da fornaio. E’ magica, in me trasforma il sale nella pasta per il pane, perché è il posto del mio primo bacio a una ragazza. E un tempo, quando avevo appena tredici anni, aveva un sacco di cassetti. Nascosti, ma neanche tanto, gli stavano intorno una volpe rossa, due alberi secolari e centoventisette formiche. Gli erano addosso quattro ragni e un paio di muschi che parevano presepi, ma senza Gesù Bambino, poi una dozzina di rottami di motorini uguali uguali a insetti grossi grossi e di metallo, di quelli che staranno domani o tra tre giorni nel 2021, che è il futuro visto al cinema.
In fondo a via Bicocca c’era una casina fatta di sogni e di carta di giornale, stava su una nuvola, la tenevano sospesa nell’aria due uccellini, che ora ricordo rossi rossi, ma forse erano blu.
Così è successo, appena l’altro ieri, che ho conosciuto la nuova proprietaria della casina di via Bicocca. Si chiama Claudia. A matita, in un disegno meraviglioso, ma bello bellissimo da stare a guardare e a riguardare, eppure senza pretese, aveva messo sulla sua pagina di Facebook dove vive in quest’attimo di covid fino in fondo e di mille e passa battiti di ali tutti intorno. Ero in redazione, ho visto la casina e le ho scritto, che ero preoccupato per i due uccellini, che avevo solo voglia stessero bene come allora. Lei mi ha risposto subito, mi ha detto: “Becco bianco e becco giallo non sono più in via Bicocca, ma nel terzo paese venendo in su dalla strada di montagna che conosci. Li ho disegnati l’altra notte, per sbaglio o per fortuna, e loro, senza dirmelo, mi hanno portato qui la loro casina perché avevo tanto freddo. Poi hanno cantato un sacco di canzoni per me, per ringraziarmi che li avevo disegnati”. Le ho chiesto: “Ma la volpe rossa?”. E mi ha subito risposto: “E’ qui con me a farsi accarezzare a tre passi esatti dal camino”. E mi ha mandato il loro selfie, che ho sul mio telefono, nella tasca della giacca marrone dello zio Carlo.
Sono solo un giornalista, tra l’altro uno dei più miseri della mia strada, che ha nomi grandi e grossi, articoli importanti di uomini alti alti che stanno nei palazzi tra il civico numero “dodici” e quello lontano, il “sessantaquattro”. Ma è la seconda volta in sette giorni che porto in braccio la neve, la luna, gli uccellini, la volpe e ieri mattina pure il sole. Mi dicono tutti insieme di prendermene cura e di dire al mio mondo che una casa come quella di via Bicocca devono averla tutti, perché solo così sarà, per la prima volta, davvero Natale.
Matteo Bonfanti
Il disegno è di Claudia Crippa (laduda_cla), coautrice della favola, l’artista che ha fatto il disegno