Un dì lucente s’aggirava per la contrada
messer Gaglioffo con la sua sposa dagli occhi di giada.
Il mercante era omo assai influente
conduceva affari con molta, moltissima gente,
fra i suoi clienti v’eran principi e regnanti,
persone abbienti, nobili, borgesi od umili braccianti.
La sua abilità stava nel maneggiar moneta
elargendo prestiti o mercanteggiando in seta,
allevando tori, equini ed animali rari
sempre in cambio di parecchi danari.
Quel giorno soleggiato di mezza estate,
mentre passeggiava muovendosi come un primate
per via della panza che premeva sul vestiario,
fu incontrato dal messo reale, un certo Dario,
il quale, fattogli un sontuoso inchino
ed il baciamano alla sua sposa vestita d’oro zecchino,
gli consegnò servilmente una pergamena
serrata da un laccio che pareva una gomena
e da un sigillo in ceralacca
ricalcante l’immagine d’una vacca.
Il grosso bovino sopra riportato
era nientemeno che l’effige del real casato,
ciò voleva dire un che di ufficiale,
non di certo un foglietto banale.
Messer Gaglioffo ruppe la sigillatura
srotolando il papiro, iniziando la lettura,
e man mano che proseguiva scorrendo le parole
alle nari saliva un profumo di viole.
Trattavasi infatti di un invito a corte
per discutere del regno e della sua sorte,
insomma qualcosa di molto importante
tant’è che la malizia comparve sul volto del mercante,
il quale, salutato e congedato il messo reale,
riprese a camminare lungo la via accanto al canale
pavoneggiandosi agli occhi della gente del rione
come fosse il dio Giove con accanto la dea Giunone.
Giunse l’indomani e per l’invito a palazzo
il mercante scelse una veste rossa tendente al paonazzo,
mentre la sua bella sposa indossò un abito nero,
stretto in vita e pressante il petto sincero.
Più tardi, la sera, le porte del castello s’apriron per loro
e guitti e lacchè comparvero di straforo,
i primi saltellando e danzando burlescamente,
i secondi invitandoli a seguirli in mezzo alla gente.
La sala era gremita di personaggi variamente agghindati,
certuni con stoffe di pregiata fattura e drappi avviluppati,
talaltri invece abbigliati in modo imbarazzante
solleticando l’ilarità dello spocchioso mercante.
I musicanti scandivano un allegro motivetto
stando dritti, ingessati, quasi avessero un’asta nel retto.
Il mercante vagava per la sala in cerca del sovrano
non accorgendosi che della sua sposa lasciò la mano.
Quando se ne avvide voltandosi per chiamarla
scorse puranco il monarca e quindi smise di cercarla,
d’altronde gli affari eran cosa ben più importante
d’una fatua donnetta quantunque affascinante.
Messer Gaglioffo, invitato al tavolo del re,
sfruttò l’offerta trangugiando per tre,
divorando pietanze su quella tavolata
come fosse persona indemoniata.
La sua dolce sposa intanto vagava per il salone
salutando gente, sorridendo a varie persone,
finché d’un tratto avvertì una mano sul sedere
ma voltatasi il colpevole non riuscì ad intravedere.
D’improvviso le comparve un giovane giullare
giacché la donna avvertì il cuore sussultare
“m’avete fatto trasalire
e per un attimo ho creduto di morire”
disse lei con una mano al petto,
zona che il giovine osservava circospetto.
“Venga, le procuro un calice di vino”
suggerì lui tirandola in uno stanzino.
“Perché m’avete trascinata qua dentro?”
chiese lei parlando un poco a rilento.
“Sono stato scortese e mi voglio sdebitare
siccome pocanzi l’ho fatta spaventare”.
rispose il giovane aitante
imbarazzato ma raggiante.
Nel salone intanto seguitava l’esultanza
noncuranti di ciò che avveniva in quella stanza,
solamente il ciambellano di corte l’aveva notato
volendo cercare il mercante per essere avvisato.
“Le conviene seguirmi è un che d’urgente”
gli sussurrò all’orecchio per via della gente,
al che il Gaglioffo si levò dal tavolo reale
domandando il permesso per potersi assentare,
seguendo poi l’uomo attraverso il salone
aprendo infine una porta celata da un telone.
Agli occhi increduli del mercante
si presentò una scena raccapricciante:
la sua sposa aggrappata ad una tenda d’alta sartoria
mentre gemeva come un’animale da fattoria.
“Infido marrano, zotico e vile fellone
come osi recare a me quest’umiliazione!?”
il giovine avvertendo la malparata
smise di stantuffare scappando di volata,
uscendo dalla finestra lanciandosi nel fossato
fuggendo nella notte al cornuto e mazziato.
Il pingue mercante era rosso in faccia
voleva la vita del giovine per lavare la figuraccia,
cosicché il Gaglioffo da persona ricca
offerse dei soldi per la sua testa su di una picca.
Il baldanzoso giovinotto mai fu trovato
perché quella notte malandrina in volto era truccato,
e chiedendo appunto una descrizione del ragazzo
il mercante poteva accennare sol che al di lui mazzo,
in effetti le dimensioni eran tutte da rispettare,
forse la causa per cui la donna cedette al giullare.
La morale di questa semplicistica storiella
è che per ragione alcuna va trascurata una donzella,
e non conta che sia procace, affascinante o bella.
In conclusione, spero che la tiritera sia stata gradita,
auguro comunque tanto amore e buona vita.
Marcus Joseph Bax