Tra le altre cose, mentre aspetto il Milan contro il Manchester, penso che fare dei figli sia la fortuna più grande che possa accadere nella vita. Ma non per ritrovarsi improvvisamente e senza aspettarselo sullo sfondo della fotografia della propria esistenza, qualcosa che è comunque un sacco rilassante perché non si è più al centro dei pensieri e delle parole degli altri e ci si può finalmente nascondere in redazione fino alla fine di una partita tanto importante.
Più che altro penso che la bellezza sia anche in questo viaggio che è viversi di nuovo tutto, ogni istante che senza di loro avrei dimenticato, la mia prima cotta, ora che il mio primo, Vinicio, l’ha tutta addosso, il bisogno di ribellione adesso che Zeno, il mio secondo, la sta iniziando a sentire sulla pelle, la fatica del dovere mentre la mattina mi metto a convincere Miranda, mia nipote, ad accendere il computer per ascoltare una lezione che più pallosa non si può. Poi le fughe distratte, il bisogno di sentirsi liberi e soli, la colonna sonora da scegliere accanto agli amici più cari, quelli con cui non servono parole, ma solo gli sguardi.
E’ sempre stato così, dieci anni fa erano le macchinine di Cars da fare andare su e giù, la bicicletta, imparare a non avere paura dell’infinito blu del mare. Ancora prima camminare, ancora ancora prima imparare i baci e le carezze, come saperli prendere, come saperli dare.
Non ho paura della malattia, sono di specie dura, so che niente potrà mai farmi stare male. Non temo una nuova guerra dopo questa che stiamo vivendo, finirà e ricostruiremo il mondo meglio di com’è adesso. Ma vivo nel terrore di quando i miei ragazzi andranno. E non avremo più le nostre sere, la loro attesa per fare due menate insieme sulla riforma e sulla controriforma oppure su Ulisse che a Itaca non arriva da un sacco di tempo o su tutti quei video assurdi che mi fanno vedere, Camionsino, che forse ha giocato a pallone nel Real Borgogna o forse no, ma comunque è uno dei temi del nostro continuo dibattito fisico e politico.
E coi miei puponi vorrei si potesse riavvolgere il nastro, tanto mi hanno divertito in questi anni, emozionato e fatto ricordare com’ero io quando ero bambino. Una volta al mese vederli mentre nascono, un’altra mentre iniziano a parlare, un’altra ancora mentre li vedo abbracciati, con le manine e i piedini bagnati a fare castelli di sabbia mentre aspettano che passi il mare. Questo sento e non è che sia una cosa così originale, penso l’abbiano pure mia mamma e mio papà e mi rincuora, che forse quando i miei ragazzi avranno quarant’anni, come adesso io, mi rivedrò in loro, magari senza gli abbracci che tra poco mi daranno sul divano, ma in una lunga e interminabile telefonata senza tante parole.
Matteo Bonfanti
Nel disegno di Vittoria Bertani ci sono io con Vinicio e Zeno, sul prato che è la nostra vita