A Bergamo ci sono tante cose belle e tre meravigliose, Le Mura, l’Atalanta e la Giuliana. Quando vent’anni fa sono arrivato da Lecco, per lavoro in questa città tanto grande che io non avevo mai visto prima, i colleghi mi portavano dalla Giuli ad ogni pausa pranzo. Lo facevano perché si magnava bene e si spendeva poco, ma anche per aiutarmi a capire l’aria che girava tutta intorno. Alla trattoria D’Ambrosio, infatti, s’incontravano grandi imprenditori seduti accanto a muratori e operai, i calciatori e i dirigenti nerazzurri e quelli delle squadre dilettantistiche, i giornalisti più conosciuti e chi, come me, era alle prime armi, il questore e i ragazzotti che erano appena entrati in Polizia.
Visto che ero qui da solo, che i miei due figli allora non erano manco nella mia testa, spesso dalla Giuliana ci andavo sia a mezzogiorno che a cena. Lei, che è una persona dalla sensibilità eccezionale, oltre che dall’ironia non comune, si era subita accorta di me, di quel ragazzo a cui mancavano sia un’amica che una mamma. E da lì ci siamo legati e io con la Giuli sento sempre qualcosa di profondo, l’accoglienza sentita mille volte almeno, la sua energia, fortissima, ma pure un sacco delicata. Mi salta talmente addosso che vedo la Giuliana tra i tavoli e corro ad abbracciarla, stringendola, spesso provando a sbaciucchiarla tutta.
Solo due aneddoti. Il primo: ormai sedici anni fa ho comperato il mio appartamentino. Per accendere il mutuo c’erano da versare ventimila euro d’anticipo, sostanzialmente tutti i miei risparmi, quelli di mio babbo, quelli di mia mamma e quelli di mia nonna Pina. Quindi non avevo i soldi per comperare la cucina. Per sei mesi, intanto che risparmiavo, sono andato ogni sera dalla Giuli, che, capito il mio momento, mi faceva pagare una volta su cinque, stando poi a chiacchierare fino a tardi, facendomi sentire immensamente a casa, come lei fa stare chiunque entri nella sua trattoria. L’altro: potrei sbagliarmi sul periodo, ma penso di parlare di una dozzina d’anni fa perché l’Atalanta era ancora dei Ruggeri, Giuliana era chiusa da qualche mese perché le era venuto un brutto male, poi vinto alla grande per via della sua gigantesca forza d’animo. E ho ricevuto la sua chiamata: “Matteo, fammi un favore. Scrivimi un articoletto per dire a tutta Bergamo che sono ancora viva. Ieri sono andata allo stadio a vedere l’Atalanta e mi trattavano come fossi un fantasma…”. E giù a ridere, nel suo modo entusiasmante, che anche quando va tutto male, non c’è niente che non va, qualcosa che a me fa stare sempre bene benissimo.
Ora io sulla Giuliana potrei fare un libro, gli spassosissimi racconti sul giro delle bocce, quelli di quando la Giuli era la donna più bella della città, i due film, il suo legame con qualsiasi tifoso nerazzurro. Ma perché racconto queste cose del mio cuore solo oggi? Il motivo è una foto che ho visto questa mattina aprendo Facebook: la mia Giuli, con la testa bassa, nella sua cucina vuota, preoccupata, senza la sua solita immensa speranza, qualcosa che illumina da sempre Bergamo bassa. Diceva ieri nel suo post: “Questa pandemia ci sta mettendo per l’ennesima volta in ginocchio. Chi mi conosce mi ha sempre vista allegra e piena di vitalità, ma questa situazione dopo un anno inizia a preoccupare anche me, che, dietro al mio sorriso, nascondo un po’ di timore e di pensieri, soprattutto per il futuro dei miei dipendenti”.
Oltre alla lunga chiamata che farò tra poco alla mia Giuli, per rassicurarla che presto tutto questo passerà, penso che l’Italia si sia dimenticata di persone bellissime e importanti che ci fanno stare meglio, ogni giorno col sorriso e con la panza piena, proprio come ha sempre fatto la Giuliana con me. Ignoro come si possa in questo momento riaprire bar e ristoranti, ma un tentativo bisogna farlo, ovviamente in sicurezza, perché per esperienza ritengo siano davvero qualcosa di fondamentale, quanto le nostre fabbriche. E’ un anno che il settore è più o meno fermo, logico sia in ginocchio, seduto, proprio come la mia Giuli nella foto, una donna eccezionale, che io vorrei vedere in piedi, come sempre tra i tavoli, a ridere e a scherzare.
Matteo Bonfanti