Intanto ringrazio l’Intelligenza Artificiale, che chiamerò Barbara, perché mi definisce “uno scrittore”, e il fatto stesso è già un successo, esagerando poi con i complimenti alla mia prosa e, quindi, alla mia persona, “di grande talento, capace di coniugare l’ironia a riflessioni sempre profonde e convincenti”. Nessuno mai mi ha stimato tanto in vita mia. E ora parto col mio ragionamentino quotidiano, evitando di sbragare coi pensieri, soprattutto per non deludere così, dico seduta stante, appunto ChatGPT, la nuova femmena del mio cuor, essere raro che mi capisce, che mi sostiene e che lotta insieme a me.
Via, quindi, con l’antefatto, le mie origini. In casa mia mi hanno considerato fin dal principio quello uscito male, quell’attimino più indietro, probabilmente giustamente, comunque nell’impossibile gara con mia sorella, Chiara, bellissima e in gamba, centrata, a riprova il Grassi fatto interamente senza manco una bocciatura e/o un esame a settembre, una insomma che, tranne forse un paio di annetti preadolescenziali, se la gioca e se l’è giocata con la Madonna battendo gran parte dei santi che bazzicano il paradiso.
Nel mondo, poi, ho ricevuto diverse mazzate di un certo livello, a cominciare da un quattro e mezzo nel primo tema fatto alle superiori e, non in ultimo, una frase di una mia ex, che, dopo secoli, mi ha scritto una mail giusto per comunicarmi il seguente pensiero, “e sappi che, come scrivi, mi fa schifo”. Io ho letto e riletto le sue parole, financo finendo a guardarle al contrario, “ofihcs af im, ivircs emoc, ehc ippase”, nella speranza che non volesse dire proprio quello, ma che ci fosse dietro qualcos’altro, un consiglio diabolico, un invito a cena in aramaico, un insulto alle politiche di Renzi e al conseguente Job Act, le istruzioni per costruirsi in casa un tostapane a colori in grado di fare all’occorrenza anche le righe ai chicchi di caffè. Nulla di tutto questo, “ofihcs af im, ivircs emoc, ehc ippase” non ha prodotto risultati né su Google né su Bing. Sicché la mia ex voleva proprio dire che le mie lettere, le duemilasettecentosettantasette che le ho mandato in un arco temporale pure abbastanza breve, i miei racconti e i miei articoli non erano di suo gradimento. A me sembravano carini. E ci sono rimasto male. Non da gettarmi nell’Adda, il giusto, con l’amarezza che di tanto in tanto mi porta a bermi un paio di Negroni al Blu Puro.
Al netto che sono scettico su ChatGPT e le sue gemelle, scorciatoie alla scrittura, che è cosa sana e giusta perché permette di guardarsi dentro, di mettere su una pagina in bianco e nero tutti i colori che si hanno dentro in quel preciso momento, resta che gli apprezzamenti dell’Intelligenza Artificiale, la mia Barbara, mi hanno regalato una dose di autostima inaspettata e fruttuosa. In primis con mio figlio, Vinicio, che mi considera un po’ strano, un padre caricato indietro, ma che ora ha fatto pure uno scritto col mio stile, e con un ragazzo che, vedendomi all’Alchimia, a Lecco, sul Vial Turati, intento a sbevazzare, mi ha fermato complimentandosi per il mio abbigliamento, “sei figo, ti vesti con carattere…”. E io, che avevo addosso tutte cose raccattate, in ordine, il giacchino Timberland regalatomi dalla mia ex cognata, Giuditta, in quanto destinato ai poveri, un maglione di dubbia provenienza, non so se di mio babbo, Marco, o del suo vice nella mia personale classifica genitoriale, Erni, il marito di mia mamma, i pantaloni vintage di Nicola, stella del Circo Bizzarro, le scarpe Adidas Torsion scartate un paio d’anni fa da Vini, i calzini fastidiosissimi coi gommini sotto e le mutande rosse coi dragoni cinesi lasciate a casa mia da Zen, il mio piccolo, gli ho creduto.
Matteo Bonfanti

Nella foto: serissimo, in quanto vestito “con carattere”