di Matteo Bonfanti
Alla fine, come tutti, sono stato parecchio a riflettere sulla vicenda della mafia a Roma. Un’idea me la sono fatta, ma ve la spiego dopo. Prima racconto i fatti, necessari per arrivare al mio pensiero. Siamo nel 2008. C’è che ci sono le elezioni per il Comune di Roma.  La sinistra comanda la capitale da una ventina d’anni e ricandida Rutelli, sindaco da un sacco di tempo, sicura di vincere. La destra, che sembra non avere chance, butta lì Alemanno che non è una testa di serie, ma uno un po’ così, di quelli che se escono sconfitti non ci restano poi così male, non fanno insomma il pandemonio nel partito. A dispetto del suo passato nel Fronte della Gioventù, Alemanno è infatti una persona tranquilla che non chiederà chissà quale poltrona in caso di ko. Si metterà buono buono a fare opposizione in consiglio senza volere né la luna né le splendide stelle del nostro sistema solare, accontentandosi di fare il capogruppo e lavorando duramente su delibere, multe, partecipate, lavori stradali, cazzi e mazzi vari. Contro ogni pronostico succede però che Alemanno vince le consultazioni e diventa primo cittadino. E’ del Popolo delle Libertà, che nel 2008 è un partitone, grande e grosso, con un sacco di gente coinvolta. Ma non è Berlusconi, ma neppure Brunetta, è uno qualunque, come potrei essere io messo nella mischia a sorpresa per vedere l’effetto che fa. E dall’oggi al domani si trova nelle mani un potere immenso: assegnare qualcosa come duemila posti di lavoro. Che sono un sacco, sono gli amici che ho tra facebook e twitter e che la metà manco li conosco, mai visti di faccia, dell’altra, quelli che ho visto almeno una volta, le persone davvero vicine a me saranno una ventina. Alemanno, che è uno normale, è messo così con una sfiga in più: che non può sbagliare nel riempire le caselle perché ha la sinistra addosso, pronta a fargli la pelle. Deve scegliere un botto di gente in un sacco di posti chiave senza averne così tante fedeli. Quindi infila centinaia e centinaia di conoscenti che dai suoi ricordi gli paiono pure brave persone. Carminati, il capoclan, è uno dei tempi di quando Alemanno era giovane e carino e andava in piazza a gridare “Viva il fascio” e altre sciocchezze del genere, Buzzi, il comunista, l’ha frequentato in cella per sei mesi negli anni Ottanta. Gli sembrava uno con la testa, onesto. E non solo a lui, anche a Scalfaro, il presidente della Repubblica che un paio di lustri prima gli aveva concesso la grazia.
Fatta la ricostruzione dello scandalo, ecco il quesito di un italiano normale, quel che sono io: che farei se dovessi dare una raffica di occupazioni strapagate e statali, quindi strasicure? Anch’io, lo ammetto, infilerei conoscenti a destra e a manca. Lasciamo un attimo il Comune di Roma con le sue centinaia di municipalizzate, le mense, i trasporti e i migliaia di appalti da assegnare. Prendiamo in esame il governo che sembra una struttura un attimino più semplice. Diventassi, casualmente, il nuovo Renzi, chi ci metterei? E chi nominerei sottosegretario? All’Eni? A Finmeccanica? Marco Neri, il mio socio qui al Bergamo & Sport, nonché da sempre il mio migliore amico, fa il vicepremier, Monica Pagani, l’altro grande elemento trainante del nostro giornale, s’insedia al ministero chiave dell’Economia, Carmelo Mangini, il nostro pubblicitario, lo infilo agli Esteri perché è curioso, ma anche meticoloso, Daniele Regazzoni va alle Infrastrutture perché è simpatico, Nikolas Semperboni comanda i Trasporti perché in passato portava il numero del martedì a una cinquantina scarsa di abbonati. Costanza Vismara al Bilancio perché è mia moglie e sistema i conti in famiglia. Torno ai colleghi: Kevin Massimino, collaboratore infaticabile e spesso qui in redazione, agli Interni; Fabio Spaterna, un po’ nostro, un po’ del Corriere della Sera, mitica figura orobica modenese, alla Giustizia; Marco Bonitti e Manuel Lieta, redattori domenicali assai dotti, rispettivamente alla Difesa e alle Politiche Agricole; Elisabetta Guerreri, la nostra grafica che è precisa, alle Riforme Costituzionali; Simone Fornoni, la firma dell’Atalanta, impegnato ad annullare e sostituire i decreti a suo piacimento; Giordano Signorelli, ottimo giornalista, ma anche diesse dell’Aurora Trescore, quindi uno che conosce a meraviglia il nostro territorio, agli Affari Regionali. Passo agli amici più cari, quelli che mi sono sempre vicini, nella pioggia e nel sole. Davide Gandolfi, il mio ex compagno di squadra quando giocavo, allo Sport; Vito Spampinato, il bassista dei miei sogni, alla Cultura; Fabrizio Rota, geniale batterista che ha smesso recentemente di fumare, alla Salute.
Ne ho detti sì e no una dozzina. E ho già un’incredibile difficoltà ad andare avanti. Figurarsi sceglierne duecento come ha fatto Renzi tra ministri, segretari e sottosegretari. E poi ci sono i vertici delle aziende di Stato. Si arriva, tranquillamente, a quattrocento. E pure io, che sono il più onesto del creato e che non ho mai sgarrato manco con la tassa della bonifica agraria, finirei travolto dagli scandali. Che magari al 221° amministratore delegato da scegliere incappo in Davide Manzella che ai tempi del Liceo era un ragazzo fantastico: ironico, generoso, avventuroso. Non ho idea di che fine abbia fatto, non c’è su facebook. Però eravamo inseparabili. Quindi non so che fare, trovo Manzella a fare la spesa all’Esselunga e decido di proporgli di diventare l’ad dell’Eni a diecimila euro al mese. E lui, che magari ora è dell’Isis, non me lo dice che è entrato nella famigerata jihad e accetta l’incarico di Stato. E L’Espresso scandaglia chi ho nominato, scopre che Manzella a tempo perso combatte per Maometto e dice che io sono un terrorista e che la sede del Bergamo & Sport è una cellula impazzita della guerra degli islamici contro gli americani. E Marco Neri e Monica Pagani finiscono in carcere. E io gli porto le arance. E tutti i famigliari coinvolti piangono e io pure. Maledicendo il giorno che ho deciso di candidarmi a premier.

NELLA FOTO: IL VICEPREMIER MARCO NERI, IL MINISTRO DELL’ECONOMIA MONICA PAGANI E FABIO SPATERNA CHE VA A CAPO DELLA GIUSTIZIA