La mia Anitina, che ora è diventata Anitona, compie gli anni. E io, che non sono il migliore degli zii che ci sono oggi in circolazione in Italia, non so nemmeno quanti, facendo due calcoli tra i sedici e i diciotto, insomma in quell’età che si hanno tutte le possibilità messe in fila, da mangiare di fretta, proprio come in Pac-Man. Tanto più che Anita è bella bellissima, adesso addirittura mozzafiato, è grande, lunga lunga, e poi è sorridente, comica senza paura di esserlo, un po’ in aria come me, spesso persa tra i pensieri, che averne è una cosa buona, fanno compagnia le sere che bussa la solitudine. L’ho detto e lo ripeto, sono un pessimo zio, invece lei è un’ottima nipote, che da piccina aveva una paura fottuta di quando arrivavo a farle il solletico, un vizio, morbida com’era tra le sue parole allo zucchero e quei piedini da fare arrosto, e si nascondeva, mentre adesso entro dalla porta di Valgreghentino e mi corre incontro, abbracciandomi forte forte, per non lasciarmi andare via.
E mi chiede sempre “Come va?”, anche se già lo sa perché è una sensibilona e le basta guardarmi, e ascolta i miei racconti folli e sconsiderati e ride di gusto, perché è tra le poche persone che non hanno paura di farsi una pausa dalla vita per lasciarsi andare alla felicità, quando è piena perché è quello che tra due anime si sente tutto intorno. E anche se non so l’età che ha, a lei sono legatissimo, che la vedo arrivare in cima al mondo senza manco una goccia di sudore addosso e mi dico “che capolavoro hanno fatto mia sorella Chiara e suo marito Riccardo”, che la chiamano Princi e un soprannome tanto azzeccato io non l’ho visto mai, perché Anita è davvero una principessa. Lo è con i suoi genitori, con il suo splendido fratello Pietro, altra creatura che la famosa cicogna è andata a recuperare dal pianeta dei sogni migliori, lo è con i nonni, Vale, Erni, Marco e Angela, che le sono stati sempre accanto, a cucinarle le carote al burro, appena tornata da scuola. E a me Ani piace così tanto, che ne scriverei tutto il giorno, dimenticandomi che ho anche da portare la pizza ai miei due figli affamati. E allora dico solo questo, che c’è stato un tempo, poco fa, appena diventata grande, che mi chiamava e partivamo a piedi in riva al Grenta e parlavamo un sacco perché aveva bisogno della cura dei consigli. E io ogni volta le dicevo il contrario di quello che si aspettava da un adulto, perché volevo le restasse quel sorriso che abbiamo noi bambini, io e la mia Anitina.
Matteo Bonfanti