di Fabio Viganò
Giuseppe Meazza, terza di campionato, stagione 1997/98; l’Inter di Ronaldo ospita la Fiorentina di Gabriel Omar Batistuta. Ricordo che zia Bruna – la mia adorata e unica zia – venne a prendermi fuori da scuola con la banalissima scusa di un giro a Milano. All’epoca avevo soltanto otto anni, ma non ero affatto stupido e la cosa mi puzzava tremendamente. Mia zia, infatti, sapeva benissimo che per nulla al mondo mi sarei perso quella partita, e di certo una gita a Milano non me l’avrebbe impedito. Detto questo, i miei sospetti iniziarono a rivelarsi fondati quando, una volta giunti in autostrada, iniziai a sbirciare dentro i finestrini delle auto: tutte – dico tutte – quelle che ci passavano in parte erano piene zeppe di tifosi, muniti di maglietta, sciarpa, cappellino o bandiera a tinte nerazzurre. A quel punto non ebbi più dubbi ed iniziai ad urlare come un bimbo. Ah già, che scemo, lo ero per davvero…! Arrivammo in anticipo: mangiai un panino, comprai una maglietta – ovviamente taroccata, ma poco importa – del mio idolo, Youri Djorkaeff, e ci incamminammo verso lo stadio. E che stadio! Pareva un’astronave. Non credevo ai miei occhi da tanto era grande. Senza contare i cori della curva interista, che riecheggiavano a centinaia di metri di distanza, e che mi gasarono di brutto. A quel punto non ci restava che entrare: fu un’emozione immensa e fotografai per sempre quell’attimo meraviglioso, ancor oggi indelebile nella mia memoria. Le persone sedute all’altro capo dello stadio mi apparsero minuscole; piccoli puntini neri grandi come formiche. Ero senza fiato. Letteralmente, visto che qualche minuto più tardi iniziai ad accusare lancinanti dolori di stomaco. Il sogno si era trasformato in incubo, tant’è che passai più tempo nel bagno dello stadio che a godermi la partita. Alla fine vinse l’Inter, 3 a 2. Guarda caso, con gol di Youri Djorkaeff. Non c’è che dire, ne valse davvero la pena.
Su Bergamo & Sport in edicola oggi i ricordi della prima volta allo stadio di altri tre grandi giornalisti: Evro Carosi, Adriano Gilardi e Marco Bonfanti