Non sono un negazionista. Abito a Bergamo, non potrei esserlo manco se mi finisse un sasso bello grosso in testa. Resta che vedere Sanremo, questa immensa campagna elettorale sullo “state tutti buoni a casa” mentre loro cantano e ridono dopo il coprifuoco, mi dà un sacco da pensare. E’ la Rai, la tv che finanziamo tutti noi. Ma ricorda tanto tanto quella regina che più di due secoli fa diceva “a voi i sacrifici e il crepare di fame, a noi la festa continua”, che tra i ricchi non deve fermarsi mai e poi mai. E si sa che fine abbia fatto la famosa regnante francese.
Resta che in Italia esiste un problema, anche solo perché i milionari possono esibirsi e fare tardi tutti insieme, fottendosene, mentre gli altri no. Noi abbiamo addosso sempre un colore, giallo, arancione o rosso (che io odio anche per via della mia allergia agli agrumi) che ci fa stare comunque barricati in casa dopo le ventidue.
E ora c’è la Berté, settant’anni (e che quindi per legge dovrebbe essere in pensione e starsene a casa), lì ad accoppare una bellissima canzone. Non ha più la voce, ma ha un mucchio di soldi. E io, che vorrei sentire Giovo in un localino, sento che non siamo più in una democrazia, che è che uno vale uno e ognuno deve essere tutelato. Ma in un’oligarchia, che è che alcuni valgono almeno cento e sono loro la sola cosa importante. Lo stesso succede nel calcio, gioca la Serie A, ma non l’Eccellenza né la Promozione. E Prima, Seconda e Terza categoria manco si sa se ripartiranno a settembre.
Matteo Bonfanti