di Matteo Bonfanti
L’altro giorno stavo nel mio, tranquillo e rilassato sul divano a vedermi The Killing, da tre anni la mia serie tv preferita perché si ammazzano tutti alla brutto dio e io mi sento il più buono della terra perché non accoppo mai nessuno. Insomma è una visione che mi rincuora, mi sento un bravo tipo, onesto. Era una puntata intermedia, di quelle carine, ma non fondamentali, che si possono vedere chiacchierando, tenendo l’attenzione al cinquanta per cento. Allora, di tanto in tanto, tormentavo Costanza, mia moglie, che un po’ era presa a mettersi in pari con le telefonate settimanali ai parenti, un po’ rispondeva ai messaggi su What’s App delle sue amiche. Ovviamente mi ignorava. Io: “Bellina, come sta zia Gabri?”, lei muta, nel suo. Io: “Amore, hai sentito tuo babbo? Come va la vita al vecchio eroe della pubblicità Rio Mare?”, lei muta, nel suo. A un punto l’ho vista che rideva. Ma non nel suo modo solito, che è leggero, che è una felicità dolce, soffice, tipo le caramelle gommose del bar dell’oratorio. Questa volta ghignava proprio, sguaiata, da mattarella. Le ho chiesto: “Che è capitato?”. Mi ha detto: “Tesoro mio, tu venerdì sera hai da fare?”. Le ho risposto: “Sì, ho la cena dei coscritti. E’ un mese che la tentiamo e in più sto organizzandola io. Se salto, mi sento uno stronzo. Perché tu cos’hai? Se è importante, faccio venire mia mamma a tenere i bambini”. Lei: “Dai, ci pensiamo, anche perché tua madre vorrei che venisse sabato prossimo, che mi piacerebbe andare una sera al mare, ascoltarlo d’inverno”.
Poi mi ha dato un bacio ed è andata in camera a leggere del Buddha, che la intriga, che dev’essere stato un sacco in gamba e va detto che Siddarta ha pure la mia stima perché piace anche a Baggio, l’unico calciatore che mi ha fatto piangere, di gioia e di tristessa. La mia consorte è andata a letto, lasciando in sala il telefono. L’ho visto e me lo sono guardato con l’acquolina, che sono un ficcanaso, per questo è vent’anni che faccio il giornalista. Ho preso in mano il suo cellulare, ho fatto il pin e ho iniziato a curiosare. Il settimo sms era la proposta del venerdì: “Se non hai da fare, io, Marika, Paola e Angela ci troviamo a casa mia. Arriva un’amica che vende oggetti straordinari per il piacere tra sé e sé. E’ la famosa valigetta rossa. Dai, non puoi non esserci. Lascia i bambini a Matteo”.
Sti cazzi. Minchia. Porcazza la Eva. Sudore freddo. Poi panico. E se Nostro Signore le punisce per la loro lussuria? Se apre le piastrelle e le sprofonda tutte e cinque direttamente all’inferno? Resto vedovo e mi tocca contattare gli altri mariti per piangere insieme, strapparci i capelli, dare il via, insomma, a un’esistenza terribile, di lutti, di figli perennemente addosso e di privazioni. Avevo in testa immagini apocalittiche e inquietanti: Dio, muscoloso e col barbone bianco, una sorta di Babbo Natale palestrato, che arrivava dalle nostre donne, le frustava, le castigava, gli portava via la valigetta rossa e le mandava all’inferno a riflettere sui loro peccati carnali.
Ho passato dieci minuti da incubo. Poi ho preso una birra dal frigo per analizzare la situazione con calma, lucidamente, senza angosce. Avevo le solite due vocine, quella normale, tranquilla, atea e agnostica, l’altra bigottona, tornata a tormentarmi dopo avermi parlato più che altro durante la mia solitaria adolescenza. La prima voce mi rincuorava: “Piantala di credere a quello che ti diceva tua nonna Chiara… Te lo meni da trent’anni e il pavimento del tuo appartamento non è mai ceduto. Con tutti i filmati che ti sei visto su You Porn a quest’ora dovresti essere al centro della Terra, dentro alla palla di fuoco gestita dal Demonio. Invece sei qui e non hai manco una scottatura”. La seconda voce mi allarmava: “Non ti è accaduto niente perché tua nonna si riferiva solo alle femmine. Voi uomini potete masturbarvi tranquillamente, i problemi arrivano se lo fa il sesso opposto. Fermala. Proibiscigli la serata a casa di Francesca…”.
Alla terza birra mi sono detto la risolvo. Ho aperto facebook e ho scritto a una mia amica che è single da tre anni. Le ho chiesto: “Scusa la domanda un po’ privata, ma tu ti tocchi? Non il braccio o la schiena, dico lì sotto, nella tua parte nascosta, la più intima, la più tua”. E lei: “Ma come parli? E poi non ti fai sentire da sei mesi e adesso ti fai vivo per chiedermi se mi masturbo? Dirmi, ad esempio, ciao, come va?”. E io: “Perdonami, ma è importante. Mi basta un sì o un no”. E lei: “Sì, certo, come qualunque altro essere umano sulla terra, sei scemo? Ti sei rincretinito d’un colpo?”. E io: “Grazie della risposta che ora sono più sereno”: vedendola straordinariamente in salute sulla fotina del profilo. Salva, per nulla bruciata dalle fiamme dell’inferno.