Siamo lì, intorno alle dieci di sera, tutti e quattro finalmente liberi dalla furia dei nostri animali elettrodomestici, principalmente i computer e i cellulari. E scendiamo le scale per andare a guardare la luna e le stelle dal pratino delle case popolari che stanno accanto al nostro appartamento. I miei figli, due tenere cozze in questo momento di covid, mi abbracciano stretto stretto. Zeno mi dà addirittura la mano per giochicchiare con la mia mentre siamo felici per via dei nostri nasi all’insù. Nell’aria c’è tantissimo amore, sullo sfondo possiamo intravedere i mugnai del mulino bianco intenti a fare le brioches che mangeremo l’indomani mattina. Perché sia un quadretto idilliaco mancano giusto il suonatore Jones e la musa biotta con in braccio la cetra, ma non importa, va già benissimo così, il silenzio interrotto dal canto dei grilli riempie meravigliosamente l’aria sottile e soffice che abbiamo intorno.
E’ un attimo e cambia tutto. Perché arriva lei, la temuta vicina perennemente incazzata col mondo. Si affaccia alla finestra e con la sua vocina stridula va subito all’attacco: “Oh, cosa fate qui? La luce del cortile la pago io…”. Facciamo finta di niente perché sappiamo che non è vero, su diritti, tanti, e doveri, pochissimi, dei fortunati che vivono in quella porzione di edilizia popolare bergamasca, ci siamo informati da tempo. Non la caghiamo. Lei continua a provocarci. E riparte: “Oh, ohi, ooooh…, mi avete sentito? Qui la luce la pago io…”. La guardo e tento la strada maestra della tenerezza che nella vita me l’ha spesso risolta al volo: “Ti prego, poi ti diamo i soldi che vuoi, ma non rovinarcela anche stavolta”. Niente, la vecchina è in loop, “la luce la pago io, la luce la pago io, la luce la pago io, la luce la pago io”. Allora gliene dico quattro, concludendo il dialogo all’ostia: “Piantala, che con te non ce la fa più nessuno. Vedi di piantarla. Basta”. Vinicio, che ormai è grande, un ragazzotto lungo lungo di quasi quattordici anni, mi prende il braccio e mi porta via: “Torniamo su, papà, con questa qui è impossibile. Non vale la pena…”.
Mal comune mezzo gaudio, è vero, che la signora durante questi due mesi è stata il motivo del dibattito interno all’intero quartiere e quindi è stata anche utile, che qualche volta ci ha aiutato a tenerci lontani dai pensieri tristi tristi del covid 19. E non sono questi i problemi, soprattutto ora, col casino che c’è stato e che sembra non finire mai.
Ma è dura. Stamattina: io e Zeno scendiamo al sole. E ci mettiamo lì, in quel pratino comunale, che ormai è diventata una giungla amazzonica, popolata da qualche biscia, alcuni roditori e, probabilmente, da due velociraptor scappati dalla gabbia di Jurassic Park (ma non ho le prove, solo indizi). Lei si affaccia e ci sgrida: “Siete senz’anima, non capite che l’erba soffre quando la calpestate? Non vi importa? Siete dei maleducati”. E rientra. E riapre la finestra. E la richiude. E torna ad affacciarsi. E ci stressa di nuovo, questa volta prendendo le difese dei fiori gialli, che magari sono pure delle piante carnivore affamate e non hanno bisogno della sua solidarietà perché sanno difendersi da sole.
Torno sul pezzo, unendo i puntini. Ero piccino e avevo di fronte a casa uno cattivo cattivo, che riempiva i secchi d’acqua e ci mirava e ci bagnava mentre era inverno e noi di pomeriggio stavamo in strada a giocare a pallone. Sono diventato ragazzo ed è spuntato il Nano, un uomo gigante che veniva a menarcela perché ci rintanavamo a suonare la musica punk e perché qualche volta prendevamo in prestito dal suo giardino Eolo e Pisolo. Adesso c’è la temibile vecchina.
Ok, ok, non sono il solo, c’è pure la canzone, il vicino è il mio nemico, capita, non devo fare la vittima, come mi ha insegnato mamma parlandomi ogni volta degli africani che in Congo non mangiano mai la carne, neppure una fettina. Ma posso comunque ragionarci, elaborare una teoria, lanciare il sasso nascondendo la mano, attribuire colpe a caso, fare, insomma, del sano e autentico terrapiattismo. Sono pronto: che ci sia una scuola superiore, poi un corso di laurea, quindi un concorso che porta a una precisa occupazione, quello dello smarronatore condominiale, uno ogni tot abitanti? E se è così, chi l’ha istituito? C’entra ancora la Regione Lombardia? E’ un’idea di Fontana o di Gallera? Che ruolo ha Renzi in tutto questo? E il nostro bel premier, dico Giuseppe? E Confindustria? E le case farmaceutiche? E le morte stagioni? E la presente e viva? E il suon di lei?
Se qualcuno sa, può scrivermi in privato, che facciamo lo scoop. E ora torno sul pratino amazzonico, aspettando le urla della vecchina per darle soddisfazione, che lei il suo lavoro lo fa ogni giorno fino in fondo.

Matteo Bonfanti

Nella foto il pratino comunale che la mia vicina non vuole che calpesti per non fare male all’erba e ai fiori gialli