Ancora tra i miei occhi, adesso che la tua macchina mi ha portato lontano correndo lungo gli argini della notte, tre scene di un film di cui non avrei voluto vedere neppure il trailer. La prima, come stavamo martedì, tu che trattieni a stento le lacrime, incarcerata in un letto di ospedale, e io che non so che fare, se aprire la finestra oppure fare una battuta senza senso sulle magnifiche sorti e progressive delle gemelle Kessler, o abbracciarti, la miglior cosa, all’infinito, sperando che il mio amore, ora come ora, riesca a guarirti un pochino le ferite che hai addosso, profonde, persino sopra al collo. Ti ho vista piangere solo una volta, e manco so se è capitato davvero perché ero troppo piccolo e in più andavo dietro ai fossi, nel sole e nel vento, a caccia di lucertole. Sempre, invece, è stato il contrario, due anni fa esatti, era novembre, la mia vita si sgretolava senza un motivo e il tango dei miei pianti sulla tua spalla si placava nel valzer infinito delle tue rassicurazioni. Dicevi “tornerà l’estate e avrà il colore celeste dei tuoi sguardi, passerà l’inverno, stai sicuro, perché lo farò passare. E resta qui, che spesso i tortellini possono essere una cura”. Ancora il nostro film, mercoledì, la tua manciata tutta intorno e io pensavo “strana la vita, che cos’è l’amore e io adesso ci credo e poi chissà se ci stai pensando anche tu…”. Perché, forse, volersi bene è proprio questo, cambiare al volo il proprio ruolo per resistere insieme “agli urti della vita, a quel che leggi sul giornale e certe volte anche alla sfiga”, come cantava Luca, il nostro Luca, al Dall’Ara, nella tua Bologna, di fronte a casa di tua mamma, la Pina, mia nonna. Una volta si ha bisogno, quella dopo è l’altro che sprofonda e serve rispondere “presente”, con forza, uguali ai militari che a me e a te non sono piaciuti mai. Sussurri, poesie e fiori d’intorno, famigliari e amici che vanno e che vengono a tutte le ore e la tua stanza in un attimo sembra diventata il centro di New York. E, in ultimo, la scena finale di questo nuovo film, comunque a lieto fine, perché tu sei la fatina e io Pinocchio: al mare, coccolandoti lungo i nostri solidi e consueti cammini, salutando il pesce cane all’orizzonte, nei bordi della felicità che tu mi hai dato da quando sono nato e che adesso io devo restituirti almeno un po’.
Matteo Bonfanti
Ps – Mia mamma, la Vale, come tanti sanno, è stata investita mentre attraversava sulle strisce pedonali. È all’ospedale di Lecco, in buone mani, ha diverse fratture, ma tutte che guariranno. Standole accanto. Nella foto io e la mia mami, quarantasette anni fa.