Ho sempre ammirato chi vende, quell’arte. Ma da figlio di due insegnanti e con velleità da scrittore, fino a poco tempo fa, non l’avevo mai tentata tutti i giorni. Piuttosto, da direttore di un giornale, indirizzare le mie conoscenze, “chiama questo”, “scrivi a quell’altro”, “vai alla festa di Tizio”, “corri all’aperitivo di Caio, sperando non ci sia quello stronzo di Sempronio”. Io no, mai in prima persona, avevo una sorta di vergogna e me ne lavavo le mani. Poi le circostanze avverse nel mio lavoro, il covid e il surreale personaggio che sto raccontando in uno dei due libri che sto scrivendo in questo mese, e mi sono messo, all’inizio per gioco, come faccio in ogni cosa, quindi studiando a fondo i venditori che avevo accanto per imparare il mestiere. Li elenco: Gigi, che è mio fratello pur che non siamo manco lontani parenti, Carmelo, che è una colonna qui al giornale, Sergio, che ho avuto per una manciata di minuti come collega un secolo fa e, dopo anni di innamoramento, adesso è qui in redazione con noi a fare e a disfare, a battere e a levare tra mail e corse in giro per la Bergamasca col suo Doblò. Intanto sono tutti e tre molto simpatici, allegri, insomma col sole addosso, la chiacchiera puntuale e accogliente, non tirano inculate e non vendono mai fuffa. Detto questo, sono assai diversi. Il primo infila nella trattativa dei paroloni fighissimi, che ti viene da dire “questo qui non è il mio dottore, ma il mio guru, non mi sistema solo la vista, ma pure il ginocchio destro malandato o la sciatica mensile se solo glielo chiedo”, il secondo è un irresistibile piacione che fa ogni sera una valanga di appunti in excel sul cliente appena incontrato e che ha l’idea di vedersi sempre e solo di persona, penso per via dei suoi occhi profondi come il mare, il terzo la butta in una comica caciara telefonica che a volte ascolto rimanendo sbalordito per via dell’immensa poesia che mette nella sua dolcissima confusione.
Loro tre sono super, li ho osservati e ho cercato la mia via, ovviamente diversa, vestita apposta su di me. E ho capito che io non vendo pubblicità, ma chiedo dei soldi a una serie di persone meravigliose, scelte tra migliaia e migliaia di partite iva, per legarle in qualche modo a me, di modo che mi risolvano i mille casini che ho nella schiuma dei giorni, da quelli lavorativi passando per i miei dubbi sullo stato del nostro pallone, finendo a raccontargli ogni volta i miei casini sentimentali.
Se faccio i nomi in questo pezzo, finisce che diventa un libro di due volumi, tanto a Bergamo la gente è buona, nella solidarietà, pronta a donare il cuore, felice e felicetta persino quando si trova accanto un disastro irrisolto duro come me. Ed io, che ho sempre odiato due cose nella vita, le mattine, per via di quella luce bianca e afona, e il denaro, a causa di una povera donna che si è rovinata l’esistenza perché ne voleva sempre di più, sto cambiando i miei pensieri.
Ma non faccio la regola, del resto sono un uomo fortunato, che vivo qui, a Bergamo, un posto dove è assai più facile trovare gente per bene, finendo per passare, proprio come oggi, un pomeriggio con gente stupenda e indimenticabile in un famoso ristorante di Spirano per lavoro, che poi lavoro non è, ma è stare nell’abbondanza dell’allegria che hanno gli sguardi di chi mi vuole bene bene.
Matteo Bonfanti
Nella foto: io ora in redazione, tra gli appunti della mia pubblicità