BERGAMO – “E’ davvero una gioia constatare che il futuro ce l’abbiamo già pronto in casa, coi giovani cresciuti nel vivaio ad arricchire la prima squadra”. La musica per le orecchie del tifoso atalantino, campanilista e dal giovanilismo sempre in canna oltreché già pronto a storcere il naso per l’annunciato – e comunque ben lungi dall’essere definito – approdo su questi lidi del prepensionato Mario Yepes, l’ha suonata ieri mattina il presidente Antonio Percassi. Ma nonostante la freschezza degli intruppati speciali Milesi, Gagliardini, Olausson e Bangal (mettiamoci anche il cavallo di ritorno Baselli, strappato alle grinfie dell’ex comproprietario Cittadella), la nuova Dea assomiglia in modo impressionante a quella vecchia.

L’ossatura è la stessa, figlia dello spossante e vagamente dissanguante avantindré dell’ultimo calciomercato di riparazione. L’impalcatura anche, a causa dell’annosa assenza di esterni alti. Accantonate le drammatiche scene mute di Troisi, la famigerata contropartita tecnica dell’estate scorsa nello scambio di compartecipazioni che aveva visto fuggire l’enfant prodige Gabbiadini verso la Juve (di Manolo da Bolgare, ora, non rimane nemmeno una briciola: sacrificio number one sull’altare della cassa), di gente capace di smazzarsi – da riciclato – la corsia dalla linea di mezzo in su c’è rimasto il solo Giorgi, beneficiario di un contrattino a dispetto delle attese. Carmona, Migliaccio (altra faccia conosciuta, utile come jolly), Kone, Baselli – designato da Stefano Colantuono quale vice del metronomo Cigarini – e Cazzola sono interni o comunque portatori d’acqua, satellitini cui toccherà girare nei pressi del Professore reggiano per togliergli pressione. Centrocampo a tre, dunque, a meno che l’emergenza di turno non costringa il profeta di Anzio a far lampeggiare la supernova Bonaventura sulla mancina con l’ascolano dall’altra parte. Chimera o dietrologia, perché comunque al Cola il modulo classico ha cominciato a puzzare fin dalla primissima conferenza stampa nel sacro recinto di Zingonia. Il generalissimo in panchina, anzi, ha parlato apertamente di tridente, benché calare il Jack come punta laterale schiacciando Livaja sulla destra per coadiuvare il Tanque Denis appaia un azzardo. Ad oggi, probabilmente, la soluzione al rompicapo tattico si chiama rombo, col genietto di San Severino Marche a suggerire, o albero di Natale, con il medesimo e la Croatian Sensation dal carattere fumantino appostati dietro i cingoli che non perdonano del bomber di Remedios de Escalada. I pur bravi e rapidi Marilungo e De Luca, a giudicare dalle cifre nude e crude, non sono la risposta all’atavica fame di gol delle bocche da fuoco che non presentino i dati anagrafici del numero 19 dal profilo tagliente e i garretti d’acciaio.

Ci sarebbe un altro rebus, e non di poco conto. Quello relativo al quartetto d’archi schierato a protezione di Consigli, foriero di sicure novità. Dell’onestissimo e professionalissimo journeyman Ferri e della meteora Contini, intanto, s’è deciso di fare a meno. Finalmente è riapparso all’orizzonte un terzino destro (l’ibrido settepolmoni Raimondi non ce ne voglia, capitan Bellini idem), che latitava fin dai tempi dell’infelice Masiello: si spera che il ventenne rumeno Constantin Nica di imperiale, oltre al nome di battesimo, abbia anche la falcata e la capacità di tamponare e ripartire che avevano reso il Pel di Carota viareggino una pedina indispensabile nello scacchiere nerazzurro. Di là sarà lotta serrata fra Del Grosso e Brivio per una maglia; nel cuore della difesa, aspettando a braccia aperte il centrale mancino – sfumato il neo sassuolese Acerbi, sembra proprio che il trentasettenne capitano della nazionale colombiana sarà dissotterrato dalla palude degli svincolati -, c’è mister garanzia Stendardo, con Lucchini e il favoloso valbrembanino Milesi (il capitano uscente della Primavera) a fargli da spalla. Niente di nuovo, o quasi, sotto il sole. Niente corazzate, ma solidità garantita. Anche se il rischio c’è, alle spalle di tante certezze: il signor Bonaventura o German l’argentino, di fronte a un’offerta irrinunciabile (il centravanti è ambito dal Malaga), saluterebbero la brigata in cambio di una vagonata di milioni. E chissà che l’ormai sgamatissimo Ardemagni, invece che dover scegliere tra Palermo e Catania, stavolta non riesca a piantare radici sotto le Orobie. All’Ata Executive l’ardua sentenza.

Simone Fornoni