Passano leggere, uguali a questa pioggia gentile, le mie parole in un’altra notte di pallone che mi avvicina al mio primo Natale in cui nessuno mi ama e in cui nessuno mi vuole male. Mi vogliono tutti bene, l’avresti detto mai quel giorno che ti gridavo in faccia il mio immenso dolore lungo un marciapiede dei portici di Bologna che ci stava portando a San Luca? Ero giovane e inesperto. Forse è invecchiare, mettersi nella pausa sigaretta in modo normale, come te nel bagno di piazza della Pace a fumarti le Emme Esse, tranquilla, senza niente da desiderare. Aspetto l’Atalanta, esco e conto le stelle, non ne voglio l’attenzione, tra poco avrò cinquant’anni, non sono più quello di allora, il tuo bambino vestito di fresco, mai fermo, all’hotel Kursaal di Riccione, con addosso i jeans Armani. Mi metto giusto a guardarle mentre mi si avvicinano e mi coccolano perché qui da noi a dicembre la sera è incredibilmente scura, mia, zeppa di luci e di fuochi, di saltimbanchi in ogni dove. In piazza c’è l’uomo che cammina sui pezzi di vetro oppure non c’è e sto di nuovo sognando. Comunque lo guardo da lontano, in quel lontano che è anche il nostro lontano, cantato una volta da Roberto Vecchioni, “quel lontano che non è lontano”. E allora, ora che tu non ci sei più, riempio il mio cuore innamorandomi di tutto, dei figli soprattutto, Vini e Ze, Zeno e Vinicio, Vincent e Asdrubale, il mio primo e il mio secondo, le loro mani, uniche, libere, bianche e forti, come le mie non lo sono state mai. Scrivo, lo sai, per lavoro, soprattutto frasi al cielo. Potrei fare altro? Ho ancora il quaderno giallo che mi hai regalato tu, mi annotto le cose, ormai non me ne scappa più una. E allora ti racconto: era sabato, ero a Spirano, ero tra la gente, a premiare i popini del ciclismo bergamasco. C’erano le mamme, c’erano soprattutto le nonne, decine, identiche a te, la mia Pina, tifosa e appassionata, a un passo dalle nuvole. Ero sul palco a sbagliare le medaglie, davo ai secondi quella di bronzo, ai terzi quella d’argento. Facevo ridere. Basilio, un vecchio dirigente delle due ruote, almeno più di diecimila anime messe sul sellino in cinquant’anni, mi ha ripreso, “direttore, com’é? Non sa manco il materiale che si vince?”. Non lo so, del resto io ho vinto una sola gara, stremato con le braccia alzate sul traguardo di Morbegno. Non mi è mai interessato arrivare primo, ma manco sul podio, del resto avevo già il tuo amore, la borraccia piena di acqua e di zucchero, l’accappatoio insieme al bombolone, le lenzuola appena lavate sopra al letto. Ciao nonnina, tu, che mi amavi tanto, gratis e senza faticare in questa vita che spesso è una volata.
Matteo Bonfanti