C’è questa narrazione collettiva di cui ho accennato ieri, un piccolo quadro, che piano piano sta diventando un murales, un dipinto gigante, proprio come la Danza Macabra, tragico e meraviglioso affresco di Clusone, importante centro proprio della Val Seriana, cittadina meravigliosa, anche lei straordinariamente colpita da questa strage di Stato.

Ieri ho parlato del lavoro di Marco Birolini, oggi potrei esprimere le stesse parole di stima nei confronti di Isaia Invernizzi, di Francesca Nava, di Davide Maria De Luca e di Luca Samotti, il primo che fotografa la reale dimensione della strage, la seconda le gravi responsabilità della politica, il terzo che ci spiega per filo e per segno le pressioni fatte da tante realtà imprenditoriali del nostro territorio, quando tutti sapevano e ancora si poteva salvare un incredibile numero di vite umane, il quarto che ripercorre ogni evento accaduto nella Bergamasca dal 28 gennaio fino ad oggi.

Non solo loro. Grazie a tantissimi articoli, penso a quelli straordinari arrivati dall’America, alle interviste del Corriere, a quelle di Repubblica o ai reportage del Fatto Quotidiano, possiamo tracciare con precisione e in estrema sintesi quello che è accaduto nella Bergamasca in questi mesi, qualcosa di gravissimo, una strage che conta più di cinquemila vittime dall’inizio di marzo ad oggi.

Inizio, cercando di essere estremamente semplice. 

Si scopre l’esistenza del coronavirus, che ancora non si chiama così, il 31 dicembre, giorno in cui la Cina allerta l’Organizzazione Mondiale della Sanità. A Wuhan, popolosa città al centro della Repubblica Popolare, nella regione dell’Hubei, ci sono casi di questa nuova polmonite virale di origine sconosciuta.

Da noi, lo sappiamo ora, è già presente. Arrivata grazie a rotte commerciali battute da decenni, soprattutto in due valli meravigliose, quella in riva al Serio, l’altra a ridosso del Brembo, due zone uniche in Europa e nel mondo non solo per le bellezze naturali, ma soprattutto per la straordinaria produzione industriale, meglio per fatturato addirittura di quella tanto rinomata della Baviera. I medici di base iniziano a segnalare che si sta verificando qualcosa di anomalo già in quel periodo, troppe polmoniti, spiegano.

A rivelarlo neppure una settimana fa è il già citato collega Marco Birolini, sull’Avvenire, con tre interessanti interviste. A parlare sono Pietro Poidomani, dottore di Cividate al Piano, don Matteo Cella, prete di Nembro, impegnato in prima linea nell’assistenza agli anziani, e Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei Medici di Bergamo, vera e propria istituzione del settore che ricorrerà diverse volte in questo lungo e drammatico, proprio per avere denunciato più volte l’emergenza quando il mondo della politica andava in direzione ostinata e contraria rispetto alla strategia dell’isolamento ognuno nella propria casa.

Tutti e tre raccontano “un incredibile aumento di decessi” già dall’inizio di gennaio. Poidomani dà anche qualche numero, “a Cividate 33 morti in quattro settimane, quando di solito ce ne sono una cinquantina in un anno”. Sempre lui racconta quanto l’impressione che il coronavirus fosse presente nella nostra provincia, fosse diffusa tra tanti dottori bergamaschi, anche perché in Cina l’epidemia era nel pieno. “Arrivavano tutti questi anziani con sintomi da complicanza post influenzale: febbre e tosse insistente. Strano, perché erano quasi tutti vaccinati. Ne parlai con alcuni colleghi, tutti avevano constatato gli stessi problemi”. Parole identiche, ma questa volta raccolte dalle colonne del Corriere della Sera, sono quelle di Mario Sorlini, da quarant’anni medico di Albino, cittadina che diventerà uno degli epicentri del virus. “A gennaio abbiamo avvertito uno strano aumento di polmoniti atipiche, con febbri e febbriciattole, patologie che col senno di poi, in teoria, potevano ascriversi al Covid”.

E proprio qui c’è il primo giro a vuoto dei nostri rappresentanti politici, che non si accorgono minimamente che la situazione sta già precipitando, nonostante amministrino una sanità lombarda che ha picchi di radiografie al torace mai visti e già troppi ricoveri rispetto allo stesso periodo nel 2019.

Si arriva alle prime parole a reti unificate del premier Giuseppe Conte, che però non sono legate a quello che sta accadendo sul nostro territorio, ma all’arrivo a Roma di due turisti cinesi, il 30 gennaio, che risultano positivi al tampone del coronavirus. Il giorno dopo il governo dichiara lo stato di emergenza sanitaria nel Paese, che però, di fatto, non porta ad alcun provvedimento. Il presidente della nostra Regione Attilio Fontana e il suo assessore al Welfare Giulio Gallera tranquillizzano i (già malati) cittadini, il primo sostenendo “che non c’è nessun caso in Lombardia”, il secondo spingendosi ancora più in là, spiegando in quella che diventerà poi un tragico appuntamento giornaliero col (finto) numero dei caduti, che “la macchina sanitaria regionale ha dimostrato di funzionare con grande efficienza, muovendosi nel pieno e totale rispetto di protocolli e linee guida nazionali e internazionali. Il nostro sistema ha dato prova di massima competenza e reattività. Anche questo messaggio deve dare sicurezza e tranquillità. Sappiamo come agire e lo stiamo facendo con totale professionalità”. Parole che, lette in questo momento, soprattutto nella nostra provincia, fanno, ovviamente, salire la rabbia. 

Matteo Bonfanti

Continua…