Dice, dice, e ancora dice, poi me lo ripete un paio di volte, quasi a sottolinearmelo, forse pensandomi un po’ toccato perché non sa che sono sordo, sempre comunque con gli occhi a cuore perché ha letto un mio articoletto a suo dire illuminante, che io ho completamente scordato di aver scritto (del resto manco un idraulico si ricorda di ogni lavandino sistemato in carriera): “Che meraviglia come sai mettere le parole su un foglio. Va detto che sei anche tanto fortunato, fai il lavoro che ami. Sapessi come ti invidio, io ho preso un’altra strada, ma fare la giornalista è il mio sogno nel cassetto. Chissà come sei felice…”. E la guardo con la faccia storta che mi viene se mi trovo al bivio delle balle. Penso: “Dico la verità, nient’altro che la verità, oppure le lascio i sogni intatti perché è giovane e le mento a sferlo su tutta la linea, sparando minchiate sui cronisti giovani e forti, sul valore delle frasi, sull’editoria indomita, magari citando alla cazzo le mille e passa robe che si leggono ormai solo sulle pagine culturali del Corriere?”. Nei dodici secondi esatti in cui rifletto sul da farsi, mi compare Ze Ze, il mio psicologo, apparizione abbastanza importante, diciamo come il Maestro Yoda nel Ritorno dello Jedi. Ma nella visione il mio terapeuta è diverso dal solito, diciamo abbastanza strano, è uguale uguale alla Madonna, con quel corpo stupendo, le gambette, il sedere perfetto, le tette grosse con attaccato il pupo che se le ciuccia come un ossesso, ma col suo faccione da settantenne abbastanza bollito, qualcosa che mi ammazza totalmente la poesia del femminino sacro. Sto in una valle di lagrime. Ma non è finita, all’improvviso mi arriva addosso pure l’angelo cattolico. Mi si mette sulla spalla ed è il casino perché entrambi, dico Ze Ze-Maria e l’angiolo, stanno lì a menarmela di brutto: “Dai, Matty, fai l’onesto e vuota il sacco. Devi…”.
Intanto lei mi guarda a fondo, mi vede scosso e mi chiede: “Stai bene?”. Io decido che è venuto il momento di partire col valzer delle puttanate. Lo faccio per lei, per non accopparle i sogni in tecnicolor che ha perché è appena uscita dall’adolescenza ed ha tutte le speranze ancora in ballo, Saviano, Gomorra, l’arcobaleno, Peppino Impastato e il mondo da salvare con un bell’articolo di fondo. Mento sapendo di mentire: “Sono molto stanco, scrivere è stupendo, ma a volte è anche faticoso, mille persone da incontrare, altrettante storie da raccontare, il dovere che abbiamo nella nostra società”.
La giovane sembra convinta, le regalo il mio libro e va via soddisfatta. E io penso alla mia giornata, a cosa ho fatto davvero nelle nove ore antecedenti al nostro incontro. Vado in ordine, alla Fantozzi, partendo dal drammatico passaggio da mia mamma, la Vale, solo ed esclusivamente per sottrarle dalla tavernetta una serie di oggetti bruttissimi e destinati alla discarica, quindici in tutto tra cui una Colomba Motta del 1994, cinque portafoto in legno e il tristissimo dipinto coi fiori bianchi, mercanzia che compare nella foto, i premi per la festa che tra pochi giorni farà il giornale che dirigo. Quindi, cinquanta chilometri dopo, il recupero del pesantissimo pannello in cartongesso con i nostri sponsor, smarrito un anno fa ad Azzano. In ultimo, non certo per importanza, il furto, più o meno consentito, fatto al presidente giallorosso Luca Schiavi, costretto per amicizia a regalarmi qualcosa come dodici coppe, cimeli impolverati, conservati gelosamente dal suo club dall’anno Sessantotto, trofei che userò per le ormai imminenti celebrazioni del nostro settimanale.
Poi sono andato a Montello a fare due interviste, tornato in ufficio, ho fatto il giovane grafico raccattando in internet loghi assai sgranati, quindi ho menato il torrone a tre nostri sponsor, pregandoli di farci la pubblicità, buttandola totalmente sul pietoso, facendoli sentire più in colpa che più in colpa non si può, prendendo a piene mani le poche cose che so della Sacra Bibbia, con Mosé e il Mar Rosso che si apre e inghiotte tutti, uomini, donne, bambini e cavallette, se una dozzina di imprenditori orobici non fanno cento euro di pubblicità sul prossimo numero di Bergamo & Sport.
E il giornalismo? Dev’essere una bellezza, almeno così mi dicono i tanti che conosco che fanno quel mestiere.
Matteo Bonfanti