ALZANO LOMBARDO – Il gonfalone in sede assomiglia al blasone di una stirpe principesca: “Oratorio maschile Immacolata – Football Libertas – Alzano Maggiore 1921”. Bianco panna tendente al crema, un giglio come stemma. Testimone di una storia partita dal basso per arrivare all’apice, col Merengue sulle spalle. La maglia numero 10 con dedica regalata da Luka Modric ha scoperchiato un mondo sempre stato in realtà alla luce del sole: “18 su 24 della prima squadra, in Seconda Categoria, sono nati e cresciuti nel vivaio. Numeri che svelano la missione al servizio della comunità, abbiamo tutte le squadre dai più piccoli ai grandi”, esordisce Luca Buzzetti, classe 1980, presidente dal 2019. Mercoledì scorso, l’amico di gioventù ritrovato, anche se col distanziamento non è stato possibile riabbracciarsi, l’ha fatta un po’ grossa. Assistman del ko dell’Atalanta in Champions: “Al ritorno magari ci regala il pallone, anche se vorrebbe dire tripletta: se la Dea vince 5-3, passa e va bene lo stesso”, scherza ma non troppo. 24 anni fa, quassù, Luka alzava il suo primo trofeo, da miglior giocatore, negli Esordienti: “In paese ci guardano sbalorditi: ‘Ma cosa avete fatto?’. Non ce lo aspettavamo nemmeno noi”, sorride il vertice societario bianco & verde. Il calcio all’ombra dei campanili incarna lo spirito più puro del dilettante che fa dello sport la massima espressione della socialità: “L’oratorio è famiglia e accoglienza. Poi capitano i predestinati. Io ho giocato con Luca Percassi, l’altro destinatario della maglia speciale, fino al suo passaggio all’Atalanta, eravamo compagni di classe e a 8 anni mi convinse ad andare al campo: lui centrocampista avanzato, dal carisma silenzioso che ha confermato da superdirigente atalantino, io attaccante. E ho allenato un’azzurra, Lisa Alborghetti, attuale capitana dell’Inter”. L’asso croato del Real Madrid è in buona compagnia, insomma: “Coltivavamo l’idea di regalargli la maglia del centenario fin dal sorteggio. Dandoci la sua, lui ci ha fatto l’onore più grande: ha dimostrato l’umiltà di chi non si dimentica da dov’è venuto. Dobbiamo ringraziare la responsabile comunicazione dell’Atalanta Elisa Persico, il giornalista Giambattista Gherardi che s’è interessato, Antonio Bucci figlio di Natale, il compianto vicepresidente, zaratino come Modric che però veniva dalle montagne ed era un profugo di guerra, Maurizio Mangili e il presidente di allora Marco Marchesi”.

MANGILI, LA MEMORIA STORICA: QUANDO SFIDAVAMO I CROATI. “Non c’era solo lo Zadar di Modric. Anzi, c’è stato di più il Rijeka di Filipovic, Nikola mi pare si chiami, che aveva allenato Robert Jarni. Lo vedemmo con Zvonimir Boban quando soggiornò al Cristallo Palace, nel Bari, insieme a David Platt”. E questa è di 29 anni fa, un 3 maggio, tanto per gradire. Chi apre il libro dei ricordi è Maurizio Mangili, storico segretario dell’Immacolata Alzano e attuale responsabile organizzativo dell’Azzano FG: “Una volta una squadra Allievi tentò la fuga in discoteca ad Albino: il custode chiuse il cancello appena in tempo. Nel nostro torneo Esordienti, su otto partecipanti fino a quattro-cinque erano ospiti dei dehoniani: cento ragazzini da gestire. Scendevano ad Alzano da noi per giocare”. Il diez madridista è uno che si fa ricordare: “Luka ha raggiunto il successo partendo dalle privazioni della guerra civile. Nel decidere il migliore del torneo ’97 i nostri avevano visto giusto. I croati facevano viaggi in pullman infiniti, glielo mandavamo noi. Ed erano bravi anche fuori dal campo: corretti, educati, rispettosi. Oltre a Modric lo Zadar aveva il portiere Danijel Subasic, anche lui vicecampione del mondo a Russia 2018, e il capocannoniere Marko Ostric”. In biancoverde ne sono passati di famosi: “Armando Madonna, Mindo, è un’altra persona vera, non un personaggio costruito: è semplice, spontaneo, legato alle origini. L’Immacolata annovera con orgoglio come prodotti lui e il figlio Nicola”. Amici, figli di Alzano e ospiti d’onore: “Marino Magrin allenava l’Atalanta sconfitta in finale dal Rijeka. Ci chiese una stanza per fare una festa e suonò la chitarra”. Tra i segreti del successo di una piccola realtà diventata un sogno per qualcuno, il piacere di servire la causa: “Era un’impresa tracciare le righe del campo in sabbia con la calcina o la polvere di marmo, specie durante gli acquazzoni come quello che battezzò lo Zara di Modric. E a volte i guardalinee si mettevano a fare i clown per intrattenere il pubblico”. Pallone e divertimento: “Abbiamo avuto la Serenissima di Cinisello Balsamo, la prima società di Gaetano Scirea, il Valmontone, la Juventus Zurigo e il Porza. A questi ultimi ricambiammo la visita in Canton Ticino: l’autista del pullman si accorse con stizza solo prima della partenza che non era un paese sul fiume omonimo. Il comandante dei vigili di Alzano, il compianto Gino Cervi che ci consentì di organizzare la trasferta, partì da solo in sidecar e al ritorno sparì nel nulla. Era tornato scendendo dal Gran San Bernardo senza avvisarci, mica c’erano i telefonini…”.

Simone Fornoni