Ho figli grandi, Vinicio è già più alto di me e di notte si diverte a dirmi “cazzo, guardi” e devo dire che un poco mi spaventa perché una sua papina mi stenderebbe a terra per giorni, Zeno ha da poco superato la sua bellissima nonna, la Vale, che fa un metro e sessantadue. Sono piccoli uomini e non è solo la statura, ma i loro sguardi e pure un sacco le parole. Eppure io me li ricordo nel lettone, manine e piedini, completamente sopra di me come margherite su un prato e io la loro acqua, le mie irresistibili notti bianche passate a coccolarli, baci e carezze, carezze e baci, che fanno diventare grandi, forti e controvento, uguali agli alberi secolari che stanno sull’Adda e che non hanno mai paura.
Oggi, il mio lavoro, prima la canzone del calcio provinciale, il popino di Samu, che è Zanichelli, un campione del pallone, mezzo Baggio e l’altro mezzo identico a Van Basten, e di Erica, che è una mamma mamma, di quelle identiche alla mia di adesso, che ti mette la felpina per non prendere freddo quando fuori ci sono pochi gradi e neppure un raggio di sole. Il bimbetto, che in un parcheggio di Dalmine mi ha umiliato a pallone (10-2 il risultato, mai in discussione), canta la sua strofa. E apre il cuore. Lo guardo, innamorato della sua dolcezza da super concentratino, lo riguardo, e ringrazio Dio. E’ un capolavoro. Poi il torneo di Azzano, il trofeo della rinascita, fissato a inizio luglio, la mia gente, quella del fubal, che sta dietro agli esordienti, pistolini di dieci anni, e li allevano con una cura che al ministero manco immaginano altrimenti ai club darebbero un sacco di euro. A Bergamo e nei suoi paesi stanno crescendo dei campioni. Non sul campo, che chissene a tutti noi, ma nella vita, che è quello che importa.
Ho fatto una pausa per bermi una birra dopo le solite dieci ore passate a lavorare. Al Blu Puro vedevano Sky, c’era il servizio, raccontavano del raid israeliano, facevano vedere tre bambini morti ammazzati dalle bombe.
Ora io non sono nessuno, né cattolico né ebreo, manco intelligente, povero e senza uno straccio di laurea. Sono il direttore di un giornale normale, sono un uomo che per riuscire a campare si è messo a fare pure il grafico tanto vale meno degli altri colleghi. Eppure sogno che le mie parole cambino il mondo. Scrivo per questo. E penso che ogni volta che muore un bambino, ognuno di noi debba fermarsi per sempre a pensare, perché abbiamo ucciso il nostro futuro e la nostra umanità e non siamo uomini, ma bestie che non hanno capito niente perché ignorano la bellezza.
Matteo Bonfanti
Nella foto sono io piccolo piccolo, protetto da mia nonna, la Pina